LA STORIA DELLA BANDIERA SARDA
La bandiera della Sardegna è stata ufficializzata con la legge regionale 10, datata 15 aprile 1999 (vedi testo della legge), ma tutti sappiamo che il simbolo crociato dei quattro mori è ben più antico ed in passato, le bende che ora cingono la fronte, sono state raffigurate calate sugli occhi, od inesistenti e le teste rivolte in varie direzioni, con i volti barbuti o privi di barba.
Noi prendiamo spunto da un breve ma preciso saggio (che vi invitiamo a leggere) scritto dalla prof.ssa Barbara Fois, docente di storia medioevale, pubblicato nel 1992. Intitolato "lo stemma dei Quattro Mori - breve storia dell'emblema dei Sardi" è sicuramente il lavoro più completo sull'argomento; in esso sono riportati anche i riferimenti di coloro che nel corso dei secoli, hanno trattato dello stemma. Preghiamo i nostri lettori di trasmetterci ulteriori contributi, in modo da poter integrare la seguente descrizione, che è, non ce ne voglia la sig.ra Fois, un ulteriore sunto del suo prezioso lavoro.
La prima apparizione storica del simbolo risale ad un sigillo aragonese in piombo, del 1281, adottato dalla cancelleria reale di Pietro il Grande che la tradizione iberica riporterebbe ad una leggenda dell'XI secolo, secondo la quale san Giorgio, armato di scudo bianco crociato di rosso, durante la battaglia di Alcoraz, avvenuta realmente nel 1096, intervenne in favore degli Aragonesi, lasciando sul campo le quattro teste mozzate dei re arabi sconfitti, adorne di turbanti tempestati di gemme.
La tradizione sarda, che si rifà molto probabilmente alla leggenda iberica, narra di un gonfalone rosso con croce bianca al centro (notate i colori interposti), con quattro teste di moro poste agli angoli, che papa Benedetto VII conferì nel 1017 (non fatevi ingannare dalla data che è antecedente a quella del racconto aragonese) ai Pisani, che combattevano i Saraceni di Museto, per scongiurare la conquista della Sardegna e aggiungiamo pure, per tutelare i propri interessi nell'Isola, ricca di miniere.
Dalla seconda metà del XIV secolo, più esattamente tra il 1370 ed 1386, l'emblema in forma di bandiera, associato agli altri simboli della Confederazione della Corona d'Aragona, compare in un codice, denominato "lo stemmario di Gerle", tuttora conservato a Bruxelles. Il disegno sul manoscritto riporta i quattro mori in campo bianco, divisi dalla croce di san Giorgio ed è raffigurato quale simbolo del Regno di Sardegna.
Dunque, gli Aragonesi che nel 1297 furono infeudati da papa Bonifacio VIII, del Regno di Sardegna e Corsica, impongono un simbolo alla nostra Terra, quasi 100 anni più tardi dell'inizio del loro dominio ufficiale, se si vuol prender per buona questa data come conquista iberica della Sardegna.
Il primo documento ufficiale sardo (Capitolo di Corte degli Stamenti militari di Sardegna) che riporta raffigurato il simbolo, è però datato 1571, dopodichè risulta impresso su stampe. monete, atti , mentre su gonfaloni dei Tercios de Cerdena, istituiti per la difesa dell'Isola dalle incursioni barbaresche e moresche, sarebbe apparso prima di questa data.
Nel Settecento le immagini che si protrassero sino alla legge attuale e che principalmente raffiguravano i mori con la benda calata sugli occhi, sono simbolo dell'Isola ed inserite nello stendardo dei Savoia, quando questi divennero re di Sardegna, nel 1720. Carlo Alberto, dopo il 1842 adotta come bandiera del regno, il tricolore ed i quattro mori sventolano esclusivamente nei vessilli dei corpi militari.
La gloriosa brigata Sassari adottò lo stemma sin dalla sua istituzione, avvenuta durante la 1^ guerra mondiale.
Il 19 luglio 1950, il Consiglio della neonata Regione Autonoma della Sardegna, sceglieva un emblema nel gonfalone dei quattro mori ed il 5 luglio del 1952, l'allora presidente della Repubblica Italiana, sanciva come simbolo della stessa regione uno "stemma d'argento alla croce di rosso accantonata da quattro teste di moro bendate".
Le bende, che come detto calarono sugli occhi in periodo sabaudo, e tuttora ne ignoriamo il motivo, forse per l'imperizia dei disegnatori piemontesi o per la malizia dei governanti.
Sin qui il saggio di Barbara Fois.
Tuttora, numerose società sportive, tra le quali il Cagliari Calcio, portano in giro per il mondo la bandiera sarda, così come la mostrano con orgoglio le associazioni di emigrati sardi sparsi in tutto il pianeta.
Vorremmo aggiungere un'altra ipotesi, per certi versi affascinante e forse fantasiosa, secondo la quale lo stemma sarebbe di origine templare, se è vero che uno dei fondatori e primo maestro di tale ordine Ugo di Payns, lo fece suo prima del 1129, data alla quale dovrebbe risalire l'isitituzione della "Nuova milizia del Tempio"
Noi prendiamo spunto da un breve ma preciso saggio (che vi invitiamo a leggere) scritto dalla prof.ssa Barbara Fois, docente di storia medioevale, pubblicato nel 1992. Intitolato "lo stemma dei Quattro Mori - breve storia dell'emblema dei Sardi" è sicuramente il lavoro più completo sull'argomento; in esso sono riportati anche i riferimenti di coloro che nel corso dei secoli, hanno trattato dello stemma. Preghiamo i nostri lettori di trasmetterci ulteriori contributi, in modo da poter integrare la seguente descrizione, che è, non ce ne voglia la sig.ra Fois, un ulteriore sunto del suo prezioso lavoro.
La prima apparizione storica del simbolo risale ad un sigillo aragonese in piombo, del 1281, adottato dalla cancelleria reale di Pietro il Grande che la tradizione iberica riporterebbe ad una leggenda dell'XI secolo, secondo la quale san Giorgio, armato di scudo bianco crociato di rosso, durante la battaglia di Alcoraz, avvenuta realmente nel 1096, intervenne in favore degli Aragonesi, lasciando sul campo le quattro teste mozzate dei re arabi sconfitti, adorne di turbanti tempestati di gemme.
La tradizione sarda, che si rifà molto probabilmente alla leggenda iberica, narra di un gonfalone rosso con croce bianca al centro (notate i colori interposti), con quattro teste di moro poste agli angoli, che papa Benedetto VII conferì nel 1017 (non fatevi ingannare dalla data che è antecedente a quella del racconto aragonese) ai Pisani, che combattevano i Saraceni di Museto, per scongiurare la conquista della Sardegna e aggiungiamo pure, per tutelare i propri interessi nell'Isola, ricca di miniere.
Dalla seconda metà del XIV secolo, più esattamente tra il 1370 ed 1386, l'emblema in forma di bandiera, associato agli altri simboli della Confederazione della Corona d'Aragona, compare in un codice, denominato "lo stemmario di Gerle", tuttora conservato a Bruxelles. Il disegno sul manoscritto riporta i quattro mori in campo bianco, divisi dalla croce di san Giorgio ed è raffigurato quale simbolo del Regno di Sardegna.
Dunque, gli Aragonesi che nel 1297 furono infeudati da papa Bonifacio VIII, del Regno di Sardegna e Corsica, impongono un simbolo alla nostra Terra, quasi 100 anni più tardi dell'inizio del loro dominio ufficiale, se si vuol prender per buona questa data come conquista iberica della Sardegna.
Il primo documento ufficiale sardo (Capitolo di Corte degli Stamenti militari di Sardegna) che riporta raffigurato il simbolo, è però datato 1571, dopodichè risulta impresso su stampe. monete, atti , mentre su gonfaloni dei Tercios de Cerdena, istituiti per la difesa dell'Isola dalle incursioni barbaresche e moresche, sarebbe apparso prima di questa data.
Nel Settecento le immagini che si protrassero sino alla legge attuale e che principalmente raffiguravano i mori con la benda calata sugli occhi, sono simbolo dell'Isola ed inserite nello stendardo dei Savoia, quando questi divennero re di Sardegna, nel 1720. Carlo Alberto, dopo il 1842 adotta come bandiera del regno, il tricolore ed i quattro mori sventolano esclusivamente nei vessilli dei corpi militari.
La gloriosa brigata Sassari adottò lo stemma sin dalla sua istituzione, avvenuta durante la 1^ guerra mondiale.
Il 19 luglio 1950, il Consiglio della neonata Regione Autonoma della Sardegna, sceglieva un emblema nel gonfalone dei quattro mori ed il 5 luglio del 1952, l'allora presidente della Repubblica Italiana, sanciva come simbolo della stessa regione uno "stemma d'argento alla croce di rosso accantonata da quattro teste di moro bendate".
Le bende, che come detto calarono sugli occhi in periodo sabaudo, e tuttora ne ignoriamo il motivo, forse per l'imperizia dei disegnatori piemontesi o per la malizia dei governanti.
Sin qui il saggio di Barbara Fois.
Tuttora, numerose società sportive, tra le quali il Cagliari Calcio, portano in giro per il mondo la bandiera sarda, così come la mostrano con orgoglio le associazioni di emigrati sardi sparsi in tutto il pianeta.
Vorremmo aggiungere un'altra ipotesi, per certi versi affascinante e forse fantasiosa, secondo la quale lo stemma sarebbe di origine templare, se è vero che uno dei fondatori e primo maestro di tale ordine Ugo di Payns, lo fece suo prima del 1129, data alla quale dovrebbe risalire l'isitituzione della "Nuova milizia del Tempio"
LEGGE REGIONALE 15 aprile 1999, n. 10
Bandiera della Regione.
Il Consiglio Regionale ha approvato
Il Presidente della Giunta Regionale promulga la seguente legge:
Art.1
Bandiera della Sardegna
l. La Regione adotta quale sua bandiera quella tradizionale della Sardegna: campo bianco crociato di rosso con in ciascun quarto una testa di moro bendata sulla fronte rivolta in direzione opposta all'inferitura.
Art.2
Esposizione della bandiera da parte di amministrazioni pubbliche
l. La bandiera della Regione è esposta all'esterno degli edifici sedi della Regione, dei comuni e delle province, degli enti strumentali della Regione, degli enti soggetti a vigilanza o controllo della Regione, degli enti pubblici che ricevono in via ordinaria finanziamenti o contributi a carico del bilancio regionale, degli enti che esercitano funzioni delegate dalla Regione, nonché all'esterno degli altri edifici dei medesimi enti sui quali ordinariamente si espongono bandiere:
a) il giorno 26 febbraio, anniversario della promulgazione dello Statuto speciale per la Sardegna;
b) il giorno 28 aprile, "Sa Die de Sa Sardigna";
c) su disposizione o autorizzazione del Presidente della Regione, quando ricorrano avvenimenti di particolare importanza;
d) ogni qualvolta sia esposta la bandiera della Repubblica.
2. La bandiera della Regione è esposta altresì nei casi previsti dagli statuti dei comuni e delle province.
Art.3
Esposizione della bandiera da parte di privati
l. L'esposizione della bandiera della Regione da parte di privati è sempre libera, purché avvenga in forme decorose.
2. E obbligatoria l'esposizione della bandiera della Regione da parte di privati qualora vengano esposte bandiere nel corso di manifestazioni a cui concorrono finanziariamente la Regione o i suoi enti strumentali.
Art.4
Modalità di esposizione
l. Ove non sia vietato da norme statali, quando le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 2 espongono la bandiera della Regione, espongono anche la bandiera della Repubblica e quella dell'Unione europea.
2. Salve le norme che regolano l'esposizione delle bandiere della Repubblica e dell'Unione europea, la bandiera della Regione va esposta al posto d'onore.
3. Quando la bandiera è esposta in segno di lutto va posta a mezz'asta o con due strisce di colore nero.
Art.5
Sanzioni
1. La violazione delle norme della presente legge comporta a carico dei trasgressori l'applicazione, a cura del dirigente dell'Amministrazione regionale competente in materia di cerimoniale, della sanzione amministrativa da lire 100.000 a lire 1.000.000.
Art.6
Norma finanziaria
l. Nello stato di previsione dell'entrata del bilancio della Regione è istituito il seguente capitolo:
"Cap. 35028 - Somme riscosse per sanzioni amministrative derivanti dalla violazione della legge sulla bandiera della Regione (art. 5 della presente legge)
1999 p.m.
2000 p.m.
2001 p.m."
Art.7
Abrogazione di norme
l. E' abrogata la legge regionale 24 luglio 1950, n. 37
Art.8
Disposizioni transitorie
l. Con decreto del Presidente della Giunta regionale, su conforme deliberazione della Giunta, viene approvato il modello ufficiale di bandiera.
2. Fino all'adozione del modello ufficiale di bandiera l'esposizione deve avvenire mediante l'utilizzo di bandiere comunque rispondenti alla descrizione di cui all'articolo l.
La presente legge sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione.
E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione.
Il Consiglio Regionale ha approvato
Il Presidente della Giunta Regionale promulga la seguente legge:
Art.1
Bandiera della Sardegna
l. La Regione adotta quale sua bandiera quella tradizionale della Sardegna: campo bianco crociato di rosso con in ciascun quarto una testa di moro bendata sulla fronte rivolta in direzione opposta all'inferitura.
Art.2
Esposizione della bandiera da parte di amministrazioni pubbliche
l. La bandiera della Regione è esposta all'esterno degli edifici sedi della Regione, dei comuni e delle province, degli enti strumentali della Regione, degli enti soggetti a vigilanza o controllo della Regione, degli enti pubblici che ricevono in via ordinaria finanziamenti o contributi a carico del bilancio regionale, degli enti che esercitano funzioni delegate dalla Regione, nonché all'esterno degli altri edifici dei medesimi enti sui quali ordinariamente si espongono bandiere:
a) il giorno 26 febbraio, anniversario della promulgazione dello Statuto speciale per la Sardegna;
b) il giorno 28 aprile, "Sa Die de Sa Sardigna";
c) su disposizione o autorizzazione del Presidente della Regione, quando ricorrano avvenimenti di particolare importanza;
d) ogni qualvolta sia esposta la bandiera della Repubblica.
2. La bandiera della Regione è esposta altresì nei casi previsti dagli statuti dei comuni e delle province.
Art.3
Esposizione della bandiera da parte di privati
l. L'esposizione della bandiera della Regione da parte di privati è sempre libera, purché avvenga in forme decorose.
2. E obbligatoria l'esposizione della bandiera della Regione da parte di privati qualora vengano esposte bandiere nel corso di manifestazioni a cui concorrono finanziariamente la Regione o i suoi enti strumentali.
Art.4
Modalità di esposizione
l. Ove non sia vietato da norme statali, quando le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 2 espongono la bandiera della Regione, espongono anche la bandiera della Repubblica e quella dell'Unione europea.
2. Salve le norme che regolano l'esposizione delle bandiere della Repubblica e dell'Unione europea, la bandiera della Regione va esposta al posto d'onore.
3. Quando la bandiera è esposta in segno di lutto va posta a mezz'asta o con due strisce di colore nero.
Art.5
Sanzioni
1. La violazione delle norme della presente legge comporta a carico dei trasgressori l'applicazione, a cura del dirigente dell'Amministrazione regionale competente in materia di cerimoniale, della sanzione amministrativa da lire 100.000 a lire 1.000.000.
Art.6
Norma finanziaria
l. Nello stato di previsione dell'entrata del bilancio della Regione è istituito il seguente capitolo:
"Cap. 35028 - Somme riscosse per sanzioni amministrative derivanti dalla violazione della legge sulla bandiera della Regione (art. 5 della presente legge)
1999 p.m.
2000 p.m.
2001 p.m."
Art.7
Abrogazione di norme
l. E' abrogata la legge regionale 24 luglio 1950, n. 37
Art.8
Disposizioni transitorie
l. Con decreto del Presidente della Giunta regionale, su conforme deliberazione della Giunta, viene approvato il modello ufficiale di bandiera.
2. Fino all'adozione del modello ufficiale di bandiera l'esposizione deve avvenire mediante l'utilizzo di bandiere comunque rispondenti alla descrizione di cui all'articolo l.
La presente legge sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione.
E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione.
DISEGNO DI LEGGE DEL 25.01.2005
Con legge del 15.04.99, è stato adottato un modello grafico diverso rispetto allo stemma ed al gonfalone del 1952, che l'allora presidente della Repubblica, attribuì alla bandiera sarda, perciò si è reso necessario apportare alcune modifiche ad alcuni articoli, che hanno meglio definito i simboli ufficiali (bandiera, gonfalone, stemma e sigillo), tutti uniformati ad un unico disegno.
Appresso riportiamo l'intero disegno di legge con le modifiche (troverete i bozzetti nella sezione PICTURE del nostro sito)
Disegno di legge "Stemma, Gonfalone e Sigillo della Regione Autonoma della Sardegna".
Art.1
Modifiche alla L.R. 15 aprile 1999, n. 10 - Bandiera della Regione
1. Il titolo della L.R. 15 aprile 1999, n. 10 è sostituito dal seguente:
"Bandiera, Stemma, Gonfalone e Sigillo della Regione Autonoma della Sardegna"
Art. 2
Simboli della Regione
1. Dopo l'art. 1 della L.R. 15 aprile 1999, n. 10 è aggiunto il seguente articolo:
"Art. 1-bis - Simboli della regione"
1. I simboli ufficiali della Regione Autonoma della Sardegna sono:
a) la Bandiera
b) lo Stemma
c) il Gonfalone
d) il Sigillo
2. La Regione adotta, quale suo Stemma il medesimo simbolo rappresentato nella Bandiera della Regione, di cui al precedente art. 1, contenuto in cornice rettangolare con filetto nero, orientato con le teste di moro rivolte verso destra e associato alla scritta REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA riportata in carattere maiuscolo, secondo il bozzetto di cui all'allegato A) che forma parte integrante della presente legge.
3. Il Gonfalone della Regione reca lo Stemma di cui al precedente comma 2, secondo il bozzetto allegato B) che forma parte integrante della presente legge, fermo restando il valore storico del Gonfalone concesso alla Regione con il Decreto del Presidente della Repubblica del 5 Luglio 1952.
4. Il Sigillo della Regione è di forma circolare, al centro riporta lo Stemma di cui al precedente comma 2 e la associata dicitura "REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA * PRESIDENZA * " riportata in corona secondo il bozzetto allegato C) che forma parte integrante della presente legge.
Art 3.
Utilizzo dello stemma della Regione
1. Dopo l'art. 1 della L.R. 15 aprile 1999, n. 10 è aggiunto il seguente articolo:
"Art. 1-ter - Utilizzo dello stemma della Regione"
1. Lo Stemma della Regione di cui all'articolo 2 della presente legge, è stampato su tutta la carta da lettere destinata alla corrispondenza esterna, in tutti i provvedimenti e gli atti amministrativi.
2. Parimenti lo stemma della Regione compare sul frontespizio del "Bollettino Ufficiale della Regione" e sull'intestazione del sito internet istituzionale della Regione stessa.
3. Con decreto del Presidente della Regione è approvato uno specifico "manuale d'uso" per definire le modalità di utilizzo uniforme dello Stemma di cui all'articolo 2 della presente legge."
art. 4
Sanzioni
1. All'art. 5 della L.R. 15 aprile 1999, n. 10, dopo le parole "La violazione delle norme della presente " sono aggiunte le parole "relative all'esposizione della Bandiera", e le parole "da lire 100.000 a lire 1.000.000"sono sostituite dalle parole " da Euro 51,00 a Euro 516,00".
Appresso riportiamo l'intero disegno di legge con le modifiche (troverete i bozzetti nella sezione PICTURE del nostro sito)
Disegno di legge "Stemma, Gonfalone e Sigillo della Regione Autonoma della Sardegna".
Art.1
Modifiche alla L.R. 15 aprile 1999, n. 10 - Bandiera della Regione
1. Il titolo della L.R. 15 aprile 1999, n. 10 è sostituito dal seguente:
"Bandiera, Stemma, Gonfalone e Sigillo della Regione Autonoma della Sardegna"
Art. 2
Simboli della Regione
1. Dopo l'art. 1 della L.R. 15 aprile 1999, n. 10 è aggiunto il seguente articolo:
"Art. 1-bis - Simboli della regione"
1. I simboli ufficiali della Regione Autonoma della Sardegna sono:
a) la Bandiera
b) lo Stemma
c) il Gonfalone
d) il Sigillo
2. La Regione adotta, quale suo Stemma il medesimo simbolo rappresentato nella Bandiera della Regione, di cui al precedente art. 1, contenuto in cornice rettangolare con filetto nero, orientato con le teste di moro rivolte verso destra e associato alla scritta REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA riportata in carattere maiuscolo, secondo il bozzetto di cui all'allegato A) che forma parte integrante della presente legge.
3. Il Gonfalone della Regione reca lo Stemma di cui al precedente comma 2, secondo il bozzetto allegato B) che forma parte integrante della presente legge, fermo restando il valore storico del Gonfalone concesso alla Regione con il Decreto del Presidente della Repubblica del 5 Luglio 1952.
4. Il Sigillo della Regione è di forma circolare, al centro riporta lo Stemma di cui al precedente comma 2 e la associata dicitura "REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA * PRESIDENZA * " riportata in corona secondo il bozzetto allegato C) che forma parte integrante della presente legge.
Art 3.
Utilizzo dello stemma della Regione
1. Dopo l'art. 1 della L.R. 15 aprile 1999, n. 10 è aggiunto il seguente articolo:
"Art. 1-ter - Utilizzo dello stemma della Regione"
1. Lo Stemma della Regione di cui all'articolo 2 della presente legge, è stampato su tutta la carta da lettere destinata alla corrispondenza esterna, in tutti i provvedimenti e gli atti amministrativi.
2. Parimenti lo stemma della Regione compare sul frontespizio del "Bollettino Ufficiale della Regione" e sull'intestazione del sito internet istituzionale della Regione stessa.
3. Con decreto del Presidente della Regione è approvato uno specifico "manuale d'uso" per definire le modalità di utilizzo uniforme dello Stemma di cui all'articolo 2 della presente legge."
art. 4
Sanzioni
1. All'art. 5 della L.R. 15 aprile 1999, n. 10, dopo le parole "La violazione delle norme della presente " sono aggiunte le parole "relative all'esposizione della Bandiera", e le parole "da lire 100.000 a lire 1.000.000"sono sostituite dalle parole " da Euro 51,00 a Euro 516,00".
LO STEMMA DEI QUATTRO MORI PER LA DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA SARDEGNA
Su segnalazione della dott.ssa Simonetta Sitzia, collaboratrice Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea di Cagliari, riportiamo la sintesi del saggio intitolato “Lo stemma dei quattro mori”, di Luisa d’Arienzo, docente di Paleografia e Diplomatica all’Università di Cagliari, pubblicato in Archivio Storico Sardo, 36 (1989), in cui la studiosa sostiene che lo stemma, di chiara origine iberica, è stato fortemente voluto dai Sardi, come simbolo di autonomia.
Il saggio è stato scritto in seguito alla scelta del nuovo simbolo, da parte della “Deputazione di Storia Patria per la Sardegna”, un Istituto che promuove lo studio delle vicende storiche, la raccolta e la pubblicazione di documenti originali interessanti per la Sardegna. La Deputazione, non potendo più adottare come stemma, quello dello Stato, che risale al 1948, stabilì di utilizzare, con alcune modifiche, quello che Luisa D’Arienzo ritiene essere uno stemma dei Quattro Mori, “nato” in Sardegna.
L’indagine parte dalla più antica attestazione dello scudo dei “quattro mori” in Sardegna, presente in un’opera a stampa. Si tratta del frontespizio dei Capitols de Cort del Stament militar de Serdenya, pubblicati a Cagliari nel 1590, aggiornamento di quelli editi nel 1571.
Lo scudo, di forma ovale, sormontato da una corona, è suddiviso da una croce piana in quattro cantoni, nei cui angoli sono raffigurate quattro teste di profilo, rivolte a sinistra di chi guarda e cinte sulla fronte da una benda legata agli occipiti, con gli occhi liberi.
Ma partiamo dall’inizio. Lo stemma originario venne creato da Pietro il Grande (1276-1285) come simbolo statale della Corona d’Aragona e riprodotto per la prima volta in un sigillo del 1281. Nello scegliere l’iconografia, il re aveva inteso identificare nei mori i nemici da lui sconfitti nei territori di Aragona, Catalogna, Valenza, Maiorca, divenuti veri e propri stati dopo le guerre di reconquista contro gli Arabi.
Secondo la leggenda, l’ideatore del simbolo dei quattro mori sarebbe stato, invece, il re Pietro I (1094-1104), che volle così celebrare la riconquista della città di Huesca, resa possibile grazie all’intervento prodigioso di San Giorgio, il patrono della cavalleria cristiana, apparso nelle forme di un cavaliere che indossava armi bianche e aveva una croce fiammeggiante sul petto. Narra la leggenda che i Saraceni vennero sconfitti e quando i vincitori tornarono sul campo di battaglia per raccogliere il bottino, trovarono quattro teste di mori con turbanti tempestati di gemme, tanto preziose da far ritenere che si trattasse di re arabi.
Il simbolo reale dei quattro mori venne utilizzato sino al 1479, quando con il matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, fu sostituito dal nuovo stemma della Corona aragonese, le barras, ovvero i quattro pali rossi in campo oro. Da qual momento i quattro mori vengono attribuiti ai due soli regni d’Aragona e di Sardegna. È proprio dal XV secolo che incominciarono ad apparire le bende che cingono la fronte dei mori, i quali, peraltro, non vengono rappresentati esclusivamente con le caratteristiche somatiche della razza nera.
La primissima testimonianza relativa all’uso del simbolo, attribuito in stretto collegamento alla Sardegna, risale invece al 1516, quando in occasione delle onoranze funebri tributate al re Ferdinando il Cattolico dalla città di Bruxelles, sfilò un cavallo con lo scudo sardo dei quattro mori.
Dunque, la Sardegna, quasi cento anni dopo l’istituzione dello stemma da parte dei nuovi conquistatori, volle dotarsi di un proprio scudo, quale simbolo di rivendicazione autonomista, in opposizione all’assolutismo monarchico, fortemente voluto dei tre bracci del Parlamento Sardo (gli Stamenti), in particolare da quello militare.
Il saggio è stato scritto in seguito alla scelta del nuovo simbolo, da parte della “Deputazione di Storia Patria per la Sardegna”, un Istituto che promuove lo studio delle vicende storiche, la raccolta e la pubblicazione di documenti originali interessanti per la Sardegna. La Deputazione, non potendo più adottare come stemma, quello dello Stato, che risale al 1948, stabilì di utilizzare, con alcune modifiche, quello che Luisa D’Arienzo ritiene essere uno stemma dei Quattro Mori, “nato” in Sardegna.
L’indagine parte dalla più antica attestazione dello scudo dei “quattro mori” in Sardegna, presente in un’opera a stampa. Si tratta del frontespizio dei Capitols de Cort del Stament militar de Serdenya, pubblicati a Cagliari nel 1590, aggiornamento di quelli editi nel 1571.
Lo scudo, di forma ovale, sormontato da una corona, è suddiviso da una croce piana in quattro cantoni, nei cui angoli sono raffigurate quattro teste di profilo, rivolte a sinistra di chi guarda e cinte sulla fronte da una benda legata agli occipiti, con gli occhi liberi.
Ma partiamo dall’inizio. Lo stemma originario venne creato da Pietro il Grande (1276-1285) come simbolo statale della Corona d’Aragona e riprodotto per la prima volta in un sigillo del 1281. Nello scegliere l’iconografia, il re aveva inteso identificare nei mori i nemici da lui sconfitti nei territori di Aragona, Catalogna, Valenza, Maiorca, divenuti veri e propri stati dopo le guerre di reconquista contro gli Arabi.
Secondo la leggenda, l’ideatore del simbolo dei quattro mori sarebbe stato, invece, il re Pietro I (1094-1104), che volle così celebrare la riconquista della città di Huesca, resa possibile grazie all’intervento prodigioso di San Giorgio, il patrono della cavalleria cristiana, apparso nelle forme di un cavaliere che indossava armi bianche e aveva una croce fiammeggiante sul petto. Narra la leggenda che i Saraceni vennero sconfitti e quando i vincitori tornarono sul campo di battaglia per raccogliere il bottino, trovarono quattro teste di mori con turbanti tempestati di gemme, tanto preziose da far ritenere che si trattasse di re arabi.
Il simbolo reale dei quattro mori venne utilizzato sino al 1479, quando con il matrimonio tra Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, fu sostituito dal nuovo stemma della Corona aragonese, le barras, ovvero i quattro pali rossi in campo oro. Da qual momento i quattro mori vengono attribuiti ai due soli regni d’Aragona e di Sardegna. È proprio dal XV secolo che incominciarono ad apparire le bende che cingono la fronte dei mori, i quali, peraltro, non vengono rappresentati esclusivamente con le caratteristiche somatiche della razza nera.
La primissima testimonianza relativa all’uso del simbolo, attribuito in stretto collegamento alla Sardegna, risale invece al 1516, quando in occasione delle onoranze funebri tributate al re Ferdinando il Cattolico dalla città di Bruxelles, sfilò un cavallo con lo scudo sardo dei quattro mori.
Dunque, la Sardegna, quasi cento anni dopo l’istituzione dello stemma da parte dei nuovi conquistatori, volle dotarsi di un proprio scudo, quale simbolo di rivendicazione autonomista, in opposizione all’assolutismo monarchico, fortemente voluto dei tre bracci del Parlamento Sardo (gli Stamenti), in particolare da quello militare.
PERCHE' QUATTRO E PERCHE' MORI
Riportiamo un articolo, pubblicato nella rivista SARDEGNA FIERISITCA / APRILE-MAGGIO 1984, dal sottotitolo:
Storia e leggenda dietro lo stemma della nostra regione
PERCHE’ QUATTRO E PERCHE’ MORI
Sulla scia di vecchie teorie ispirate ad un acceso nazionalismo, ancora oggi c’è chi sostiene la sua origine autoctona. In realtà si tratta dell’emblema della Corona d’Aragona che fu adottato nell’isola durante il Cinquecento per porre l’accento sull’appartenenza del “Regnum Sardiniae” a quella confederazione
Di Luisa D’Arienzo
A tutti è noto lo stemma attuale della Sardegna: croce rossa di S.Giorgio in campo bianco, avente nei cantoni quattro teste di moro, di colore nero, rivolte a sinistra di chi guarda, con una benda bianca sugli occhi. Adottato nel 1950 dalla Regione Autonoma della Sardegna, che se ne è riservata l’uso esclusivo come elemento distintivo della sua personalità giuridica, l’emblema viene ufficialmente considerato di origine autoctona e simboleggerebbe, nei quattro mori bendati, i quattro Giudicati sardi vittoriosi sugli Arabi all’epoca delle note invasioni dell’isola. Questa, almeno, fu la motivazione che prevalse nel Consiglio regionale quando fu votata ed approvata l’adozione del nostro stemma.
Precisiamo subito che l’emblema sardo tradizionale, comparso per la prima volta in Sardegna sullo scorcio del ‘500, raffigurava i mori con le bende sulla fronte (nella simbologia araldica sinonimo di corone) e che solo in epoca sabauda, a partire dalla seconda metà del ‘700, nei frontespizi di una parte degli editti e pregoni del Regno di Sardegna, la benda apparve annodata sugli occhi; ma si trattò solo di un’incisione non del tutto chiara, perpetuatasi in seguito nelle varie matrici. Non dobbiamo pertanto vedere in questa variante, che purtroppo ha finito col prevalere del tempo, una volontà di modifica dell’emblema da parte sabauda: nelle coeve emissioni monetarie, infatti, lo scudo venne sempre rappresentato in modo corretto con le bende chiaramente annodate sulla fronte.
Il problema dell’origine dello scudo dei quattro mori è stato fin dal ‘600 oggetto di numerosi studi e continua ad essere di viva attualità anche perché le ipotesi finora avanzate, prive di rigorosa critica scientifica, non hanno del tutto chiarito certi aspetti leggendari legati alla nascita dell’emblema. Il proliferare degli studi sull’argomento con la proposta di soluzioni diverse ha ingenerato, anzi, una certa confusione nell’opinione pubblica che continua a porsi, in modo assai assillante, i problemi di sempre: Perché i mori? Perché quattro? Perché le bende sugli occhi?
In un nostro recente studio, pubblicato negli Annali della Facoltà di Scienze Politiche di Cagliari (1983), al quale rimandiamo per l’apparato critico e per le citazioni bibliografiche, abbiamo tentato di dare un apporto al tema, ripercorrendo l’iconografia dell’emblema fin dal suo primo apparire e basandoci esclusivamente sulle sue raffigurazioni ufficiali, come ad esempio quelle presenti in monete e sigilli, le uniche che consentano datazioni certe e che diano garanzie di autenticità.
Le teorie avanzate sull’origine dello scudo sardo sono state, in sostanza, due: la prima, che fa capo ai vecchi storici del ‘600, propugna l’origine indigena dell’emblema; la seconda , sostenuta per la prima volta dal Baille nell’800, ritiene che l’arma sia di origine aragonese e che sia stata importata nell’Isola all’epoca della dominazione iberica. Questa teoria si basava sulla constatazione che l’Aragona, nel Medioevo, possedette uno scudo identico a quello sardo le cui riproduzioni erano e sono tuttora riscontrabili in alcuni sigilli di piombo della cancelleria sovrana catalano-aragonese, conservati presso l’Archivio comunale di Cagliari.
Il problema della benda sugli occhi, invece, fu oggetto di minor interesse ed è diventato di attualità solo dopo che l’emblema è stato ufficialmente adottato con questa variante dal Partito Sardo d’Azione (1920) e dalla Regione Autonoma della Sardegna.
La più antica raffigurazione dello scudo sardo dei quattro mori comparve nel frontespizio dei “Capitol do Corte dello Stamento militare della Sardegna”, pubblicati dal Bellit nel 1571 e ristampati dall’Arquer vent’anni dopo: qui le teste dei mori appaiono rivolte a destra di chi guarda ed hanno le bende sulla fronte.
Negli anni successivi l’emblema fu raffigurato, con piccole varianti, nei frontespizi di numerose altre opere, ma raggiunse una veste ufficiale solo nel corso del ‘600, quando iniziò a comparire nelle emissioni monetarie, fatte per la Sardegna nella zecca di Cagliari, all’epoca del re di Spagna Filippo IV (1621 – 1665). Da questo momento in poi l’emblema si configurò come distintivo dell’autonomo Regnum Sardiniae.
Pochi decenni dopo l’apparizione dello stemma sardo iniziarono ad essere formulate le prime ipotesi sulla sua nascita. Gli autori che le proposero, in genere ecclesiastici, sostennero, con poche varianti di argomentazioni, l’origine autoctona dell’emblema, che risalirebbe all’epoca delle invasioni arabe quando i Sardi lottarono duramente per la difesa dell’Isola; ed in particolare sarebbe da ricondurre al periodo delle fortunate imprese contro il re arabo Museto (1014 -1016). In quella circostanza il papa Benedetto VIII (1012 – 1024) avrebbe consegnato ai Pisani, che insieme ai Genovesi contribuirono a scacciare gli invasori dalla Sardegna, uno stendardo con una croce rossa in campo argento o bianco (croce di S.Giorgio, patrono della cavalleria cristiana) perché fosse utilizzato nel campo di battaglia; la guerra contro gli Arabi avrebbe assunto, dunque, nell’Isola il significato di vera crociata.
Successivamente, a motivo delle vittorie riportate sui nemici, i Sardi avrebbero accantonato le teste dei mori vinti nei quattro angoli della croce. Secondo alcuni il numero di quattro avrebbe rappresentato altrettanti re mori uccisi durante la lotta e ritrovati nel campo di battaglia adorni di preziosi turbanti; secondo altri avrebbe fatto riferimento alle quattro vittorie riportate su Museto. La teoria autoctona, ripresa nell’Ottocento e influenzata dal clima del romanticismo, fu portata avanti da autori quali l’Angius e il Meloni-Satta i quali, non rinunciando a conferirle una dignità ancora più esaltante, identificarono nei mori i quattro Giudicati sardi vittoriosi sugli Arabi. Presentata in questa forma, di certo la teoria era molto appagante, in quanto riconosceva nello stemma un simbolo vittorioso, tutto sardo, nato in uno dei pochi momenti storici, appunto quello giudicale, in cui l’isola non fu soggetta a dominazioni esterne.
La variante erronea della benda calata sugli occhi conferiva, poi, maggiore credibilità alla teoria, in quanto pareva simboleggiare lo stato di schiavitù dell’arabo sconfitto. Non dobbiamo dunque meravigliarci se, in momenti di esaltazioni nazionalistiche ed autonomistiche, questa teoria sia stata caparbiamente difesa e propagandata e se, tutto sommato, i Sardi siano propensi a darle credito. D’altro canto la popolarità attuale dell’emblema deriva proprio dal fatto che sia stato presentato come un simbolo ad hoc dell’identità autonomistica sardanel quale tutti trovano gratificante immedesimarsi.
Lasciando, però, da parte le posizioni preconcette e limitandoci ad esaminare obiettivamente i fatti storici, risulta evidente come la teoria indigena sia del tutto priva di fondamento: non si capisce infatti come l’Isola, nel Cinquecento avanzato e ormai del tutto spagnolizzata, potesse adottare un emblema che affondasse le sue radici nel mondo giudicale e nelle lotte contro gli Arabi, riesumate dopo oltre mezzo millennio. L’Aragona, invece, gi possedeva un emblema identico a quello sardo ed è dunque scientificamente più corretto indirizzare le indagini in tale senso.
A questo punto si pongono una serie di interrogativi inquietanti: se è vero che il nostro emblema è di origine aragonese perché divenne il simbolo del Regnum Sardiniae? Dobbiamo pensare che sia un’imposizione de dominatore e che quindi sia stata un’ennesima testimonianza di un antico servaggio? Oppure esistono motivazioni storiche diverse che permettano di dare altre risposte?
In realtà la teoria aragonese, pur se intimamente condivisa da tutti coloro che abbiano un minimo di conoscenze storiche sulla Sardegna, poi nella pratica viene misconosciuta proprio per il suo carattere di non sardità e per quel senso quasi di fastidio che deriva dal doverla ammettere. E questo, se vogliamo può trovare anche una sua giustificazione; in araldica fatti di tale genere costituiscono la norma. Ci sono casi molto più eclatanti di rivendicazioni nazionalistiche che hanno trovato terreno fertile nei simboli araldici; uno di questi, anzi, riguarda proprio l’origine del nostro scudo nella penisola iberica.
Il chiarimento di questo nuovo problema ci permetterà di comprendere come lo scudo dei quattro mori non fu imposto nell’isola dai dominatori, bensì fu adottato e rivendicato dagli stessi Sardi in un momento storico ben preciso.
L’emblema comparve per la prima volta in terra iberica all’epoca del re catalano-aragonese Pietro II o III il Grande (1276-1285). Il primo esempio che conosciamo è presente in un sigillo di piombo della Cancelleria sovrana risalente al 1281, attualmente custodito nell’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona.
Il sigillo, simile a quelli conservati nell’Archivio comunale di Cagliari, nel diritto è di tipo della maestà, cioè rappresenta il sovrano seduto in trono avente nella mano destra lo scettro e nella sinistra una sfera; nel rovescio è di tipo araldico,cioè raffigura uno scudo semirotondo, inquartato in croce latina, avente nei cantoni quattro teste di moro rivolte a sinistra di chi guarda, senza bende o corone e con capelli ricci ed ispidi.
Contemporaneamente, nella cancelleria della Corona d’Aragona, veniva usato un altro sigillo metallico, la bolla d’oro, identico nella tipologia al precedente. Erano poi utilizzati numerosi altri sigilli di cera dove lo scudo dei quattro mori non compariva, mentre era raffigurato, in forme secondarie e non in pieno campo, l’emblema catalano delle barras (quattro pali rossi in campo oro), cioè lo scudo familiare della dinastia regnante.
Se teniamo in considerazione che i sigilli metallici venivano utilizzati nei documenti di maggiore rilevanza giuridica e se ancora valutiamo il potere corroborante più significativo della bolla nei confronti dei sigilli in cera, la conclusione più logica è che lo stemma dei quattro mori, per la sua tipologia esclusivamente araldica e per il fatto di essere abbinato ad una raffigurazione maestatica, deve essere considerato senza dubbio lo scudo della Corona.
A voler ben valutare le fonti documentarie coeve, questa teoria trova piena conferma. In terra iberica, però, non è stata mai neppur vagamente avanzata. L’opinione corrente è, invece, un’altra e si basa su una tradizione affermatasi nel corso del XV secolo e ripresa nel ‘500 dallo Zurita. Ancora oggi in Catalogna e in Aragona si ritiene che lo scudo dei quattro mori sia da attribuire, nelle sue origini, all’antico regno d’Aragona preesistente all’unione con la Catalogna, avvenuta come è noto nel 1150 a seguito del matrimonio tra il conte barcellonese Raimondo Berengario IV e Petronilla d’Aragona. L’emblema non avrebbe quindi un legame diretto con la Corona, come noi invece asseriamo, cioè con la confederazione degli Stati formatasi nel corso del XIII secolo e costituita, a seguito delle fortunate campagne militari contro gli Arabi effettuate da Giacomo I il Conquistatore (1213-1276), dai regni d’Aragona, Valenza e Maiorca e dal principato di Catalogna.
Secondo la teoria dello Zurita, lo scudo sarebbe nato in occasione della sconfitta inferta ai mori ad Alcoraz (1096) dal re aragonese Pietro I (1094-1104), quando fu riconquistata la città di Huesca. L’esito del combattimento, a lungo incerto, avrebbe avuto una svolta favorevole grazie alla comparsa di un valoroso cavaliere con una croce rossa fiammeggiante sul petto, vestito con un’armatura bianca (cioè S.Giorgio), il quale avrebbe messo in fuga i nemici. Quando i cristiani tornarono nel campo di battaglia per raccogliere il bottino di guerra, trovarono quattro teste di mori, staccate dal corpo, adorne di turbanti tempestati di pietre preziose.
Per commemorare la smagliante vittoria il re Pietro I avrebbe adottato come emblema uno scudo bianco con una croce rossa, a ricordo del cavaliere, ed avrebbe messo nei cantoni quattro teste coronate, reputando che quelle trovate nel campo di battaglia fossero di persone di rango reale. Esaminando gli aspetti generali di questa narrazione possiamo notare , innanzi tutto, i punti di contatto con la teoria autoctona sarda che fu elaborata pochi decenni dopo la morte dello Zurita e, di certo, fu influenzata dalle precedenti dissertazioni; solo che l’origine dell’emblema sardo venne riportata ad un’epoca più lontana rispetto a quella aragonese. Così, insieme ad una priorità cronologica, poteva essere rivendicata anche una nascita indigena.
Valutando criticamente la teoria dello Zurita se ne possono rilevare tutte le incongruenze: in primo luogo l’origine dello scudo, comparso in realtà alla fine del XIII secolo, è stata retrodatata senza motivi plausibili; c’è poi da considerare che l’Aragona, ancora prima dell’unione con la Catalogna, possedette, e conservò anche in seguito, un suo emblema che non è quello dei quattro mori.
Come già abbiamo precisato, lo scudo fu creato da Pietro III il Grande, il quale, erede della giovane Corona d’Aragona e dell’indirizzo imperialistico di espansione mediterranea impostato da suo padre Giacomo I il Conquistatore, a nostro avviso volle dare un’emblema a questa entità politica in piena espansione e scelse come elemento di base dello scudo la croce di S.Giorgio, sotto la cui protezione sarebbero stati ricacciati i mori dai quattro stati che, all’epoca, costituivano la Corona. Si comprende così il numero quattro ed il perché dei mori: il nemico sconfitto, messo nello stendardo come trofeo di guerra.
A questo punto sorge spontanea la domanda: perché ad uno scudo dalle origini così gloriose non è stato, nel tempo, riconosciuto il suo vero significato? La risposta è semplice: l’emblema fu osteggiato per spirito nazionalistico dai catalani i quali, in tutte le occasioni, gli anteposero quello delle barras. Nato come “scudo del regno d’Aragona”, cioè della Corona d’Aragona, e così denominato perché, sotto il profilo istituzionale, tale regno era stato il primo a far parte della confederazione, lo scudo dei quattro mori fu mal tollerato in ambiente catalano perché, essendo la Catalogna un principato, formato da un insieme di contee, non le poteva essere abbinato il titolo reale e, nelle intitolazioni ufficiali, era destinata a rimanere in una posizione subordinata rispetto all’Aragona. Essendo la dinastia regnante di origine catalana, lo scudo, pur usato sistematicamente ne sigilli della cancelleria sovrana, almeno fino all’unione con la Corona di Pastiglia (1479), non venne invece utilizzato nella vita quotidiana e nelle campagne militari.
Entrato in concorrenza aperta con lo scudo delle barras, era, però, a quell’epoca, perfettamente conosciuto; ma l’uso capillare che si fece dell’emblema catalano portò alla conseguenza che quest’ultimo si affermò a tal punto da divenire distintivo della Corona. Infatti, quando nel 1479 si unirono la Castiglia e l’Aragona, a seguito del matrimonio di Ferdinando il Cattolico e Isabella di Pastiglia, e si procedette ad una fusione delle insegne araldiche delle due Corone, come emblema rappresentativo dell’Aragona vennero usate le barras. Nonostante ciò lo scudo dei quattro mori continuò ad essere presente nei sigilli di cancelleria in una posizione che ancora dimostrava il suo diretto legame con la Corona d’Aragona. All’epoca di Ferdinando il Cattolico i quattro mori comparvero, anzi, per la prima volta coronati e con questa nuova raffigurazione lo scudo finì col prevalere, giungendo anche in Sardegna, come già abbiamo visto.
Ritornando ora al Regnum Sardiniae, tenendo in considerazione che fu completamente unificato nella seconda metà del ‘400, a seguito di una guerra durata quasi un secolo e mzzo, e che fece parte della Corona d’Aragona godendo di autonomia propria, si può comprendere come avesse adottato lo stemma dei quattro mori, cioè l’emblema della confederazione di cui faceva aprte in un regime di parità istituzionale rispetto agli altri regni. Bisogna poi notare che l’emblema comparve nell’Isola proprio nal momento in cui veniva con insistenza rivendicata l’autonomia dell’istituto parlamentare contro la preponderanza del potere regio e viceregio.
Rivista sotto questa ottica, la teoria dell’origine aragonese dell’emblema sardo dei quattro mori assume un aspetto ben diverso: non fu un’imposizione voluta dai dominatori, che avrebbero attribuito al Regnum Sardinae un vacchio emblema originario del solo regno d’Aragona, la cui origine e il suo significato, confusi nella leggenda, non avevano un benché minimo riferimento con l’Isola; fu, al contrario, una rivendicazione portata avanti in un momento di profonda tensione politica quando, a voler meglio chiarire la posizione istituzionale del Regnum nell’ambito della Corona, se ne sbandierò l’emblema tradizionale, portato quasi a vessillo della lotta per la rivendicazione dell’autonomia giuridica.
Lo scudo del Regnum Sardiniae fu utilizzato in modo ufficiale anche durante l’epoca sabauda fino alla “fusione” con il Piemonte (1847 –’48) e venne variamente raffigurato nelle monete e nei frontespizi degli editti e pregoni destinati alla Sardegna. In questi ultimi, però, comparve spesso con la variante degli occhi bendati, come già si è avuto modo di sottolineare; variante alla quale, a nostro avviso, non c’è da attribuire nessun significato particolare, se non quello d’una banale imperfezione. Nel tempo questo nuovo disegno, proprio perché non si riusciva a dargli una spiegazione plausibile, ha finito purtroppo col prevalere, favorito anche dal fatto che, come si è visto, ben si adattava alla teoria dell’origine autoctona dell’emblema. E così è giunto sino ai giorni nostri.
Luisa d’Arienzo
Da Sardegna Fieristica / aprile-maggio 1984
Storia e leggenda dietro lo stemma della nostra regione
PERCHE’ QUATTRO E PERCHE’ MORI
Sulla scia di vecchie teorie ispirate ad un acceso nazionalismo, ancora oggi c’è chi sostiene la sua origine autoctona. In realtà si tratta dell’emblema della Corona d’Aragona che fu adottato nell’isola durante il Cinquecento per porre l’accento sull’appartenenza del “Regnum Sardiniae” a quella confederazione
Di Luisa D’Arienzo
A tutti è noto lo stemma attuale della Sardegna: croce rossa di S.Giorgio in campo bianco, avente nei cantoni quattro teste di moro, di colore nero, rivolte a sinistra di chi guarda, con una benda bianca sugli occhi. Adottato nel 1950 dalla Regione Autonoma della Sardegna, che se ne è riservata l’uso esclusivo come elemento distintivo della sua personalità giuridica, l’emblema viene ufficialmente considerato di origine autoctona e simboleggerebbe, nei quattro mori bendati, i quattro Giudicati sardi vittoriosi sugli Arabi all’epoca delle note invasioni dell’isola. Questa, almeno, fu la motivazione che prevalse nel Consiglio regionale quando fu votata ed approvata l’adozione del nostro stemma.
Precisiamo subito che l’emblema sardo tradizionale, comparso per la prima volta in Sardegna sullo scorcio del ‘500, raffigurava i mori con le bende sulla fronte (nella simbologia araldica sinonimo di corone) e che solo in epoca sabauda, a partire dalla seconda metà del ‘700, nei frontespizi di una parte degli editti e pregoni del Regno di Sardegna, la benda apparve annodata sugli occhi; ma si trattò solo di un’incisione non del tutto chiara, perpetuatasi in seguito nelle varie matrici. Non dobbiamo pertanto vedere in questa variante, che purtroppo ha finito col prevalere del tempo, una volontà di modifica dell’emblema da parte sabauda: nelle coeve emissioni monetarie, infatti, lo scudo venne sempre rappresentato in modo corretto con le bende chiaramente annodate sulla fronte.
Il problema dell’origine dello scudo dei quattro mori è stato fin dal ‘600 oggetto di numerosi studi e continua ad essere di viva attualità anche perché le ipotesi finora avanzate, prive di rigorosa critica scientifica, non hanno del tutto chiarito certi aspetti leggendari legati alla nascita dell’emblema. Il proliferare degli studi sull’argomento con la proposta di soluzioni diverse ha ingenerato, anzi, una certa confusione nell’opinione pubblica che continua a porsi, in modo assai assillante, i problemi di sempre: Perché i mori? Perché quattro? Perché le bende sugli occhi?
In un nostro recente studio, pubblicato negli Annali della Facoltà di Scienze Politiche di Cagliari (1983), al quale rimandiamo per l’apparato critico e per le citazioni bibliografiche, abbiamo tentato di dare un apporto al tema, ripercorrendo l’iconografia dell’emblema fin dal suo primo apparire e basandoci esclusivamente sulle sue raffigurazioni ufficiali, come ad esempio quelle presenti in monete e sigilli, le uniche che consentano datazioni certe e che diano garanzie di autenticità.
Le teorie avanzate sull’origine dello scudo sardo sono state, in sostanza, due: la prima, che fa capo ai vecchi storici del ‘600, propugna l’origine indigena dell’emblema; la seconda , sostenuta per la prima volta dal Baille nell’800, ritiene che l’arma sia di origine aragonese e che sia stata importata nell’Isola all’epoca della dominazione iberica. Questa teoria si basava sulla constatazione che l’Aragona, nel Medioevo, possedette uno scudo identico a quello sardo le cui riproduzioni erano e sono tuttora riscontrabili in alcuni sigilli di piombo della cancelleria sovrana catalano-aragonese, conservati presso l’Archivio comunale di Cagliari.
Il problema della benda sugli occhi, invece, fu oggetto di minor interesse ed è diventato di attualità solo dopo che l’emblema è stato ufficialmente adottato con questa variante dal Partito Sardo d’Azione (1920) e dalla Regione Autonoma della Sardegna.
La più antica raffigurazione dello scudo sardo dei quattro mori comparve nel frontespizio dei “Capitol do Corte dello Stamento militare della Sardegna”, pubblicati dal Bellit nel 1571 e ristampati dall’Arquer vent’anni dopo: qui le teste dei mori appaiono rivolte a destra di chi guarda ed hanno le bende sulla fronte.
Negli anni successivi l’emblema fu raffigurato, con piccole varianti, nei frontespizi di numerose altre opere, ma raggiunse una veste ufficiale solo nel corso del ‘600, quando iniziò a comparire nelle emissioni monetarie, fatte per la Sardegna nella zecca di Cagliari, all’epoca del re di Spagna Filippo IV (1621 – 1665). Da questo momento in poi l’emblema si configurò come distintivo dell’autonomo Regnum Sardiniae.
Pochi decenni dopo l’apparizione dello stemma sardo iniziarono ad essere formulate le prime ipotesi sulla sua nascita. Gli autori che le proposero, in genere ecclesiastici, sostennero, con poche varianti di argomentazioni, l’origine autoctona dell’emblema, che risalirebbe all’epoca delle invasioni arabe quando i Sardi lottarono duramente per la difesa dell’Isola; ed in particolare sarebbe da ricondurre al periodo delle fortunate imprese contro il re arabo Museto (1014 -1016). In quella circostanza il papa Benedetto VIII (1012 – 1024) avrebbe consegnato ai Pisani, che insieme ai Genovesi contribuirono a scacciare gli invasori dalla Sardegna, uno stendardo con una croce rossa in campo argento o bianco (croce di S.Giorgio, patrono della cavalleria cristiana) perché fosse utilizzato nel campo di battaglia; la guerra contro gli Arabi avrebbe assunto, dunque, nell’Isola il significato di vera crociata.
Successivamente, a motivo delle vittorie riportate sui nemici, i Sardi avrebbero accantonato le teste dei mori vinti nei quattro angoli della croce. Secondo alcuni il numero di quattro avrebbe rappresentato altrettanti re mori uccisi durante la lotta e ritrovati nel campo di battaglia adorni di preziosi turbanti; secondo altri avrebbe fatto riferimento alle quattro vittorie riportate su Museto. La teoria autoctona, ripresa nell’Ottocento e influenzata dal clima del romanticismo, fu portata avanti da autori quali l’Angius e il Meloni-Satta i quali, non rinunciando a conferirle una dignità ancora più esaltante, identificarono nei mori i quattro Giudicati sardi vittoriosi sugli Arabi. Presentata in questa forma, di certo la teoria era molto appagante, in quanto riconosceva nello stemma un simbolo vittorioso, tutto sardo, nato in uno dei pochi momenti storici, appunto quello giudicale, in cui l’isola non fu soggetta a dominazioni esterne.
La variante erronea della benda calata sugli occhi conferiva, poi, maggiore credibilità alla teoria, in quanto pareva simboleggiare lo stato di schiavitù dell’arabo sconfitto. Non dobbiamo dunque meravigliarci se, in momenti di esaltazioni nazionalistiche ed autonomistiche, questa teoria sia stata caparbiamente difesa e propagandata e se, tutto sommato, i Sardi siano propensi a darle credito. D’altro canto la popolarità attuale dell’emblema deriva proprio dal fatto che sia stato presentato come un simbolo ad hoc dell’identità autonomistica sardanel quale tutti trovano gratificante immedesimarsi.
Lasciando, però, da parte le posizioni preconcette e limitandoci ad esaminare obiettivamente i fatti storici, risulta evidente come la teoria indigena sia del tutto priva di fondamento: non si capisce infatti come l’Isola, nel Cinquecento avanzato e ormai del tutto spagnolizzata, potesse adottare un emblema che affondasse le sue radici nel mondo giudicale e nelle lotte contro gli Arabi, riesumate dopo oltre mezzo millennio. L’Aragona, invece, gi possedeva un emblema identico a quello sardo ed è dunque scientificamente più corretto indirizzare le indagini in tale senso.
A questo punto si pongono una serie di interrogativi inquietanti: se è vero che il nostro emblema è di origine aragonese perché divenne il simbolo del Regnum Sardiniae? Dobbiamo pensare che sia un’imposizione de dominatore e che quindi sia stata un’ennesima testimonianza di un antico servaggio? Oppure esistono motivazioni storiche diverse che permettano di dare altre risposte?
In realtà la teoria aragonese, pur se intimamente condivisa da tutti coloro che abbiano un minimo di conoscenze storiche sulla Sardegna, poi nella pratica viene misconosciuta proprio per il suo carattere di non sardità e per quel senso quasi di fastidio che deriva dal doverla ammettere. E questo, se vogliamo può trovare anche una sua giustificazione; in araldica fatti di tale genere costituiscono la norma. Ci sono casi molto più eclatanti di rivendicazioni nazionalistiche che hanno trovato terreno fertile nei simboli araldici; uno di questi, anzi, riguarda proprio l’origine del nostro scudo nella penisola iberica.
Il chiarimento di questo nuovo problema ci permetterà di comprendere come lo scudo dei quattro mori non fu imposto nell’isola dai dominatori, bensì fu adottato e rivendicato dagli stessi Sardi in un momento storico ben preciso.
L’emblema comparve per la prima volta in terra iberica all’epoca del re catalano-aragonese Pietro II o III il Grande (1276-1285). Il primo esempio che conosciamo è presente in un sigillo di piombo della Cancelleria sovrana risalente al 1281, attualmente custodito nell’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona.
Il sigillo, simile a quelli conservati nell’Archivio comunale di Cagliari, nel diritto è di tipo della maestà, cioè rappresenta il sovrano seduto in trono avente nella mano destra lo scettro e nella sinistra una sfera; nel rovescio è di tipo araldico,cioè raffigura uno scudo semirotondo, inquartato in croce latina, avente nei cantoni quattro teste di moro rivolte a sinistra di chi guarda, senza bende o corone e con capelli ricci ed ispidi.
Contemporaneamente, nella cancelleria della Corona d’Aragona, veniva usato un altro sigillo metallico, la bolla d’oro, identico nella tipologia al precedente. Erano poi utilizzati numerosi altri sigilli di cera dove lo scudo dei quattro mori non compariva, mentre era raffigurato, in forme secondarie e non in pieno campo, l’emblema catalano delle barras (quattro pali rossi in campo oro), cioè lo scudo familiare della dinastia regnante.
Se teniamo in considerazione che i sigilli metallici venivano utilizzati nei documenti di maggiore rilevanza giuridica e se ancora valutiamo il potere corroborante più significativo della bolla nei confronti dei sigilli in cera, la conclusione più logica è che lo stemma dei quattro mori, per la sua tipologia esclusivamente araldica e per il fatto di essere abbinato ad una raffigurazione maestatica, deve essere considerato senza dubbio lo scudo della Corona.
A voler ben valutare le fonti documentarie coeve, questa teoria trova piena conferma. In terra iberica, però, non è stata mai neppur vagamente avanzata. L’opinione corrente è, invece, un’altra e si basa su una tradizione affermatasi nel corso del XV secolo e ripresa nel ‘500 dallo Zurita. Ancora oggi in Catalogna e in Aragona si ritiene che lo scudo dei quattro mori sia da attribuire, nelle sue origini, all’antico regno d’Aragona preesistente all’unione con la Catalogna, avvenuta come è noto nel 1150 a seguito del matrimonio tra il conte barcellonese Raimondo Berengario IV e Petronilla d’Aragona. L’emblema non avrebbe quindi un legame diretto con la Corona, come noi invece asseriamo, cioè con la confederazione degli Stati formatasi nel corso del XIII secolo e costituita, a seguito delle fortunate campagne militari contro gli Arabi effettuate da Giacomo I il Conquistatore (1213-1276), dai regni d’Aragona, Valenza e Maiorca e dal principato di Catalogna.
Secondo la teoria dello Zurita, lo scudo sarebbe nato in occasione della sconfitta inferta ai mori ad Alcoraz (1096) dal re aragonese Pietro I (1094-1104), quando fu riconquistata la città di Huesca. L’esito del combattimento, a lungo incerto, avrebbe avuto una svolta favorevole grazie alla comparsa di un valoroso cavaliere con una croce rossa fiammeggiante sul petto, vestito con un’armatura bianca (cioè S.Giorgio), il quale avrebbe messo in fuga i nemici. Quando i cristiani tornarono nel campo di battaglia per raccogliere il bottino di guerra, trovarono quattro teste di mori, staccate dal corpo, adorne di turbanti tempestati di pietre preziose.
Per commemorare la smagliante vittoria il re Pietro I avrebbe adottato come emblema uno scudo bianco con una croce rossa, a ricordo del cavaliere, ed avrebbe messo nei cantoni quattro teste coronate, reputando che quelle trovate nel campo di battaglia fossero di persone di rango reale. Esaminando gli aspetti generali di questa narrazione possiamo notare , innanzi tutto, i punti di contatto con la teoria autoctona sarda che fu elaborata pochi decenni dopo la morte dello Zurita e, di certo, fu influenzata dalle precedenti dissertazioni; solo che l’origine dell’emblema sardo venne riportata ad un’epoca più lontana rispetto a quella aragonese. Così, insieme ad una priorità cronologica, poteva essere rivendicata anche una nascita indigena.
Valutando criticamente la teoria dello Zurita se ne possono rilevare tutte le incongruenze: in primo luogo l’origine dello scudo, comparso in realtà alla fine del XIII secolo, è stata retrodatata senza motivi plausibili; c’è poi da considerare che l’Aragona, ancora prima dell’unione con la Catalogna, possedette, e conservò anche in seguito, un suo emblema che non è quello dei quattro mori.
Come già abbiamo precisato, lo scudo fu creato da Pietro III il Grande, il quale, erede della giovane Corona d’Aragona e dell’indirizzo imperialistico di espansione mediterranea impostato da suo padre Giacomo I il Conquistatore, a nostro avviso volle dare un’emblema a questa entità politica in piena espansione e scelse come elemento di base dello scudo la croce di S.Giorgio, sotto la cui protezione sarebbero stati ricacciati i mori dai quattro stati che, all’epoca, costituivano la Corona. Si comprende così il numero quattro ed il perché dei mori: il nemico sconfitto, messo nello stendardo come trofeo di guerra.
A questo punto sorge spontanea la domanda: perché ad uno scudo dalle origini così gloriose non è stato, nel tempo, riconosciuto il suo vero significato? La risposta è semplice: l’emblema fu osteggiato per spirito nazionalistico dai catalani i quali, in tutte le occasioni, gli anteposero quello delle barras. Nato come “scudo del regno d’Aragona”, cioè della Corona d’Aragona, e così denominato perché, sotto il profilo istituzionale, tale regno era stato il primo a far parte della confederazione, lo scudo dei quattro mori fu mal tollerato in ambiente catalano perché, essendo la Catalogna un principato, formato da un insieme di contee, non le poteva essere abbinato il titolo reale e, nelle intitolazioni ufficiali, era destinata a rimanere in una posizione subordinata rispetto all’Aragona. Essendo la dinastia regnante di origine catalana, lo scudo, pur usato sistematicamente ne sigilli della cancelleria sovrana, almeno fino all’unione con la Corona di Pastiglia (1479), non venne invece utilizzato nella vita quotidiana e nelle campagne militari.
Entrato in concorrenza aperta con lo scudo delle barras, era, però, a quell’epoca, perfettamente conosciuto; ma l’uso capillare che si fece dell’emblema catalano portò alla conseguenza che quest’ultimo si affermò a tal punto da divenire distintivo della Corona. Infatti, quando nel 1479 si unirono la Castiglia e l’Aragona, a seguito del matrimonio di Ferdinando il Cattolico e Isabella di Pastiglia, e si procedette ad una fusione delle insegne araldiche delle due Corone, come emblema rappresentativo dell’Aragona vennero usate le barras. Nonostante ciò lo scudo dei quattro mori continuò ad essere presente nei sigilli di cancelleria in una posizione che ancora dimostrava il suo diretto legame con la Corona d’Aragona. All’epoca di Ferdinando il Cattolico i quattro mori comparvero, anzi, per la prima volta coronati e con questa nuova raffigurazione lo scudo finì col prevalere, giungendo anche in Sardegna, come già abbiamo visto.
Ritornando ora al Regnum Sardiniae, tenendo in considerazione che fu completamente unificato nella seconda metà del ‘400, a seguito di una guerra durata quasi un secolo e mzzo, e che fece parte della Corona d’Aragona godendo di autonomia propria, si può comprendere come avesse adottato lo stemma dei quattro mori, cioè l’emblema della confederazione di cui faceva aprte in un regime di parità istituzionale rispetto agli altri regni. Bisogna poi notare che l’emblema comparve nell’Isola proprio nal momento in cui veniva con insistenza rivendicata l’autonomia dell’istituto parlamentare contro la preponderanza del potere regio e viceregio.
Rivista sotto questa ottica, la teoria dell’origine aragonese dell’emblema sardo dei quattro mori assume un aspetto ben diverso: non fu un’imposizione voluta dai dominatori, che avrebbero attribuito al Regnum Sardinae un vacchio emblema originario del solo regno d’Aragona, la cui origine e il suo significato, confusi nella leggenda, non avevano un benché minimo riferimento con l’Isola; fu, al contrario, una rivendicazione portata avanti in un momento di profonda tensione politica quando, a voler meglio chiarire la posizione istituzionale del Regnum nell’ambito della Corona, se ne sbandierò l’emblema tradizionale, portato quasi a vessillo della lotta per la rivendicazione dell’autonomia giuridica.
Lo scudo del Regnum Sardiniae fu utilizzato in modo ufficiale anche durante l’epoca sabauda fino alla “fusione” con il Piemonte (1847 –’48) e venne variamente raffigurato nelle monete e nei frontespizi degli editti e pregoni destinati alla Sardegna. In questi ultimi, però, comparve spesso con la variante degli occhi bendati, come già si è avuto modo di sottolineare; variante alla quale, a nostro avviso, non c’è da attribuire nessun significato particolare, se non quello d’una banale imperfezione. Nel tempo questo nuovo disegno, proprio perché non si riusciva a dargli una spiegazione plausibile, ha finito purtroppo col prevalere, favorito anche dal fatto che, come si è visto, ben si adattava alla teoria dell’origine autoctona dell’emblema. E così è giunto sino ai giorni nostri.
Luisa d’Arienzo
Da Sardegna Fieristica / aprile-maggio 1984
VIAGGIATORI DELL'OTTOCENTO
Ecco la descrizione della bandiera che l'umanista inglese John Warre Tyndale riporta nel suo libro "The island of Sardinia", pubblicato nel 1849, in seguito al suo viaggio in Sardegna nella primavera del 1843
Lo stemma della Sardegna consta di una croce rossa in campo argenteo con quattro teste di Mori che portano una benda bianca sugli occhi; lo stemma ha subito mutamenti, in particolare per quanto riguarda le teste che vi sono rappresentate e che, in origine, erano bianche e portavano un diadema orientale, cioè una corona con benda bianca sula fronte ma, nelle stampe e nelle epigrafi antiche non sembra che la benda copra gli occhi, bensì che sia un semplice ornamento.
Le notizie antiche su questo stemma risalgono al 1591 ed al 1593 e , secondo talune fonti, fu l’antico blasone aragonese apparso nel 1150 in occasione delle nozze di Petronilla d’Aragona con Raimondo Berenger, conte di Barcellona, e giunse probabilmente in Sardegna in occasione della prima spedizione aragonese. Certi disegnatori, inesperti in araldica, potrebbero, dunque, aver successivamente rappresentato le teste di colore nero, confondendo i re negri con quelli moreschi.
Gli storici spagnoli fanno risalire l’origine dello stemma alla battaglia di Alcoraz, nel 1096, in occasione della quale si dice che San Giorgio sia apparso a cavallo per combattere contro i nemici dei Cristiani, reggendo uno scudo argenteo con croce rossa; si dice, altresì, che quattro teste di principi moreschi siano state ritrovate nel campo di battaglia e furono quindi rappresentate nello scudo da Pietro I. Si è anche sostenuto che facessero riferimento alle quattro battaglie vinte sul saraceno Museto ed inserite nella bandiera pontificia donata dal cardinale Ostia, ma poiché questo vessillo era costituito da una croce di colore rosso su campo bianco, mentre quello sardo porta una croce in campo argenteo, ne consegue che l’ipotesi non pare ben fondata. Né è più probabile che le teste rappresentino i quattro Giudicati dal momento che ciascuno di essi aveva, come d’altronde viene senza equivoci attestato, un proprio stemma.
Lo stemma della Sardegna consta di una croce rossa in campo argenteo con quattro teste di Mori che portano una benda bianca sugli occhi; lo stemma ha subito mutamenti, in particolare per quanto riguarda le teste che vi sono rappresentate e che, in origine, erano bianche e portavano un diadema orientale, cioè una corona con benda bianca sula fronte ma, nelle stampe e nelle epigrafi antiche non sembra che la benda copra gli occhi, bensì che sia un semplice ornamento.
Le notizie antiche su questo stemma risalgono al 1591 ed al 1593 e , secondo talune fonti, fu l’antico blasone aragonese apparso nel 1150 in occasione delle nozze di Petronilla d’Aragona con Raimondo Berenger, conte di Barcellona, e giunse probabilmente in Sardegna in occasione della prima spedizione aragonese. Certi disegnatori, inesperti in araldica, potrebbero, dunque, aver successivamente rappresentato le teste di colore nero, confondendo i re negri con quelli moreschi.
Gli storici spagnoli fanno risalire l’origine dello stemma alla battaglia di Alcoraz, nel 1096, in occasione della quale si dice che San Giorgio sia apparso a cavallo per combattere contro i nemici dei Cristiani, reggendo uno scudo argenteo con croce rossa; si dice, altresì, che quattro teste di principi moreschi siano state ritrovate nel campo di battaglia e furono quindi rappresentate nello scudo da Pietro I. Si è anche sostenuto che facessero riferimento alle quattro battaglie vinte sul saraceno Museto ed inserite nella bandiera pontificia donata dal cardinale Ostia, ma poiché questo vessillo era costituito da una croce di colore rosso su campo bianco, mentre quello sardo porta una croce in campo argenteo, ne consegue che l’ipotesi non pare ben fondata. Né è più probabile che le teste rappresentino i quattro Giudicati dal momento che ciascuno di essi aveva, come d’altronde viene senza equivoci attestato, un proprio stemma.
LIBRO: LA VERA STORIA DELLA BANDIERA DEI SARDI
Articolo di Franciscu Sedda – da L’Unione Sarda di sabato 27 ottobre 2007 - in occasione della presentazione del proprio libro “La vera storia della bandiera dei sardi”
È il 1409, pochi giorni dopo la battaglia di Sanluri. Il re Martino “il Vecchio”, compiaciuto delle notizie che arrivano dal figlio Martino “il Giovane”, comandante dei catalano-aragonesi in Sardegna, scrive agli altri sovrani per informarli dello “sterminio e l’esecuzione nei confronti della nazione sarda traditrice e ribelle” e per render loro noto che durante la battaglia dei soldati sono riusciti ad impadronirsi della “bandera dels sards”, la bandiera dei sardi. A noi che non possiamo tornare nel passato non resta che saper leggere i segni e i segni ci dicono che durante la centenaria lotta contro un esercito invasore un Albero, un Albero deradicato verde in campo bianco, inizialmente simbolo del Giudicato d’Arbarèe, era divenuto l’Albero dei sardi, la bandiera della nazione sarda.
Volgiamoci subito dall’altro lato. Nel 1409 la bandiera identificativa della corona d’Aragona erano le barras catalane, i Pali rossi e gialli. E tuttavia, con altissima probabilità, sul campo di guerra di s’occidroxiu sventolava dal lato aragonese anche un’altra bandiera. I Pali infatti, per affermarsi, avevano dovuto scalzare dei “competitor” che seppur sconfitti non erano scomparsi. Fra queste bandiere alternative vi erano proprio i Quattro mori, la cui prima testimonianza certa è un sigillo del 1281. Quattro teste senza benda e dai tratti marcatamente africanizzanti. In quel momento il simbolo sembra indicare sia la “Riconquista” iberica nei confronti dei “mori” (i mussulmani) sia l’unificazione fra Aragona, Catalogna, Valenza e Maiorca in un nuovo tipo di confederazione politica. E tuttavia questo progetto, politico e simbolico, non attecchisce e il nuovo simbolo si ritrova subito in una situazione ambigua: è il sigillo della corona d’Aragona ma non riesce a diventarne la bandiera. E così, per la parte di storia che ci riguarda, a metà del ‘300 ha già cambiato funzione: quando il sovrano Pietro IV sbarca in Sardegna per tentare di arginare la sollevazione dei sardi guidati da Mariano IV usa i Pali come bandiera collettiva e i Quattro mori come bandiera personale di guerra. Non solo: stando ad un importante e controverso stemmario dell’epoca già verso il 1380 il simbolo dei Quattro mori passa a rappresentare il nascente “Regno di Sardegna”, vale a dire l’istituzione paravento della conquista aragonese. Premonizione e avvertimento? Non tutto ciò che suona sardo è a favore dei sardi.
Ad ogni modo ancor dopo l’apice del periodo giudicale simboli, significati e interessi dovevano esser chiari: nonostante la sconfitta della nazione sarda e dell’Albero infatti dovranno passare quasi duecento anni prima che i Quattro mori inizino timidamente ad essere usati dai sardi. Li ritroviamo nel 1590 sui Capitoli di corte dello Stamento militare di Sardegna, rivolti a sinistra e benda sulla fronte. Fatti propri dall’èlite ex-catalana, e ora rappresentante in Sardegna della Spagna, dieci anni dopo che il primo storico sardo aveva teorizzato, nientemeno, che la conquista aragonese fu una liberazione dei sardi dai tiranni, ovvero i giudici di Arbarèe. Pura coincidenza?
Così, mentre la memoria e il senso di un simbolo venivano stravolti e si eclissavano un altro simbolo si affermava, ma di certo non con lo stesso significato. Infatti, se in periodo spagnolo i Quattro mori vanno a indicare uno dei fedeli Regni del sovrano di Spagna, in periodo sabaudo il simbolo passa addirittura ad identificare completamente la nuova sovranità esterna. Per capirlo basta riflettere sul fatto che i repubblicani sardi – il “partito di Angioy” – non useranno i Quattro mori ma sventoleranno la bandiera francese. Complicato paradosso: i rivoluzionari sardi non possono risollevare l’Albero che non ricordano ma nemmeno possono far propria la bandiera sventolata dal potere che vogliono abbattere.
I Quattro mori vengono usati tanto abbondantemente dai sabaudi che se ne ritrovano contemporaneamente con benda sulla fronte e benda sugli occhi. Una nuova foggia dunque nasce casualmente dall’errore delle matrici di stampa, ma non è casuale che quando il simbolo riemerge dopo la prima guerra mondiale la foggia scelta sia quella con la benda sugli occhi. La mentalità che si afferma prima e dopo la guerra è talmente macchiata di vittimismo che fa comodo essere bendati: “il principio del sardismo – dice Bellieni nel 1919 – è che lo Stato deve ricompensare in base alla quantità di sacrificio nelle trincee”. Non a caso è solo ora che le teste un tempo more e mussulmane diventano nientemeno che i piccoli sardi scuri e maltrattati. E soprattutto falliti: irrimediabilmente perdenti proprio perché sardi, di “razza e materno linguaggio sardi”, consulstanziamente privi di una propria storia e di alta cultura. Così argomentano i leader del nascente sardismo davanti a chi chiede se si possa “essere una nazione”. Nazione abortiva, mancata, fallita: ecco il significato politico che il simbolo ora incorpora. Slittamento inquietante: le argomentazioni di questi sardi riecheggiano in modo più sofisticato le teorie dell’antropologia positivistica che da fine ‘800 ci aveva etichettato come una razza africana, inferiore e delinquente.
Assolta la sua funzione integrativa il simbolo nel secondo dopoguerra rischia di rieclissarsi. A rilanciarlo, più che la politica, ci pensa il Cagliari. Poi arriva il neo-sardismo, la Regione Autonoma, il merchandising identitario, la benda sopra gli occhi e i mori (non si sa bene perché) girati a destra. Il simbolo acquista un sentore positivo e un significato ambiguo. Appartenenza nostalgica e sentimento di disunità. Siamo tutti sardi ma non si capisce che cosa vogliono essere “i sardi”.
È il 1990, Sergio Atzeni conduce delle ricerche per quella che sarà l’epopea di “Passavamo sulla terra leggeri”, gira la Sardegna, visita quelli che definirà “i luoghi del sacro”. Si tratta di un sacro religioso e culturale insieme, un “sacro sardo”, come quello che appare inaspettatamente a risolvere i drammi metropolitani di “Bellas mariposas”. Atzeni approda carico di attese, nella cattedrale di Oristano: la immagine sublimazione di questa sacralità di cui è alla ricerca e invece, dentro alla chiesa ispanizzata, vive una profonda delusione. Ma è solo il preludio a una vera e propria epifania: uscendo, quasi come davanti ad un’apparizione sacra e laica al contempo, il suo sguardo si posa su un simbolo. Un simbolo di unità e libertà. Atzeni ci descrive questa scena, il momento, il luogo: eppure là dove lui ce lo indica quell’Albero materialmente non c’è, e nonostante ciò lui lo vede . chi parla è già Atzeni, il custode del tempo, il cantore di un popolo che narra di una memoria obliata, di una presenza assente (o di una assenza che vuol farsi presente), di un rimosso che ritorna grazie alla potenza dell’immaginazione e della conoscenza. Come disse McLuhan, se non c’avessi creduto, non l’avrei visto.
È il 1409, pochi giorni dopo la battaglia di Sanluri. Il re Martino “il Vecchio”, compiaciuto delle notizie che arrivano dal figlio Martino “il Giovane”, comandante dei catalano-aragonesi in Sardegna, scrive agli altri sovrani per informarli dello “sterminio e l’esecuzione nei confronti della nazione sarda traditrice e ribelle” e per render loro noto che durante la battaglia dei soldati sono riusciti ad impadronirsi della “bandera dels sards”, la bandiera dei sardi. A noi che non possiamo tornare nel passato non resta che saper leggere i segni e i segni ci dicono che durante la centenaria lotta contro un esercito invasore un Albero, un Albero deradicato verde in campo bianco, inizialmente simbolo del Giudicato d’Arbarèe, era divenuto l’Albero dei sardi, la bandiera della nazione sarda.
Volgiamoci subito dall’altro lato. Nel 1409 la bandiera identificativa della corona d’Aragona erano le barras catalane, i Pali rossi e gialli. E tuttavia, con altissima probabilità, sul campo di guerra di s’occidroxiu sventolava dal lato aragonese anche un’altra bandiera. I Pali infatti, per affermarsi, avevano dovuto scalzare dei “competitor” che seppur sconfitti non erano scomparsi. Fra queste bandiere alternative vi erano proprio i Quattro mori, la cui prima testimonianza certa è un sigillo del 1281. Quattro teste senza benda e dai tratti marcatamente africanizzanti. In quel momento il simbolo sembra indicare sia la “Riconquista” iberica nei confronti dei “mori” (i mussulmani) sia l’unificazione fra Aragona, Catalogna, Valenza e Maiorca in un nuovo tipo di confederazione politica. E tuttavia questo progetto, politico e simbolico, non attecchisce e il nuovo simbolo si ritrova subito in una situazione ambigua: è il sigillo della corona d’Aragona ma non riesce a diventarne la bandiera. E così, per la parte di storia che ci riguarda, a metà del ‘300 ha già cambiato funzione: quando il sovrano Pietro IV sbarca in Sardegna per tentare di arginare la sollevazione dei sardi guidati da Mariano IV usa i Pali come bandiera collettiva e i Quattro mori come bandiera personale di guerra. Non solo: stando ad un importante e controverso stemmario dell’epoca già verso il 1380 il simbolo dei Quattro mori passa a rappresentare il nascente “Regno di Sardegna”, vale a dire l’istituzione paravento della conquista aragonese. Premonizione e avvertimento? Non tutto ciò che suona sardo è a favore dei sardi.
Ad ogni modo ancor dopo l’apice del periodo giudicale simboli, significati e interessi dovevano esser chiari: nonostante la sconfitta della nazione sarda e dell’Albero infatti dovranno passare quasi duecento anni prima che i Quattro mori inizino timidamente ad essere usati dai sardi. Li ritroviamo nel 1590 sui Capitoli di corte dello Stamento militare di Sardegna, rivolti a sinistra e benda sulla fronte. Fatti propri dall’èlite ex-catalana, e ora rappresentante in Sardegna della Spagna, dieci anni dopo che il primo storico sardo aveva teorizzato, nientemeno, che la conquista aragonese fu una liberazione dei sardi dai tiranni, ovvero i giudici di Arbarèe. Pura coincidenza?
Così, mentre la memoria e il senso di un simbolo venivano stravolti e si eclissavano un altro simbolo si affermava, ma di certo non con lo stesso significato. Infatti, se in periodo spagnolo i Quattro mori vanno a indicare uno dei fedeli Regni del sovrano di Spagna, in periodo sabaudo il simbolo passa addirittura ad identificare completamente la nuova sovranità esterna. Per capirlo basta riflettere sul fatto che i repubblicani sardi – il “partito di Angioy” – non useranno i Quattro mori ma sventoleranno la bandiera francese. Complicato paradosso: i rivoluzionari sardi non possono risollevare l’Albero che non ricordano ma nemmeno possono far propria la bandiera sventolata dal potere che vogliono abbattere.
I Quattro mori vengono usati tanto abbondantemente dai sabaudi che se ne ritrovano contemporaneamente con benda sulla fronte e benda sugli occhi. Una nuova foggia dunque nasce casualmente dall’errore delle matrici di stampa, ma non è casuale che quando il simbolo riemerge dopo la prima guerra mondiale la foggia scelta sia quella con la benda sugli occhi. La mentalità che si afferma prima e dopo la guerra è talmente macchiata di vittimismo che fa comodo essere bendati: “il principio del sardismo – dice Bellieni nel 1919 – è che lo Stato deve ricompensare in base alla quantità di sacrificio nelle trincee”. Non a caso è solo ora che le teste un tempo more e mussulmane diventano nientemeno che i piccoli sardi scuri e maltrattati. E soprattutto falliti: irrimediabilmente perdenti proprio perché sardi, di “razza e materno linguaggio sardi”, consulstanziamente privi di una propria storia e di alta cultura. Così argomentano i leader del nascente sardismo davanti a chi chiede se si possa “essere una nazione”. Nazione abortiva, mancata, fallita: ecco il significato politico che il simbolo ora incorpora. Slittamento inquietante: le argomentazioni di questi sardi riecheggiano in modo più sofisticato le teorie dell’antropologia positivistica che da fine ‘800 ci aveva etichettato come una razza africana, inferiore e delinquente.
Assolta la sua funzione integrativa il simbolo nel secondo dopoguerra rischia di rieclissarsi. A rilanciarlo, più che la politica, ci pensa il Cagliari. Poi arriva il neo-sardismo, la Regione Autonoma, il merchandising identitario, la benda sopra gli occhi e i mori (non si sa bene perché) girati a destra. Il simbolo acquista un sentore positivo e un significato ambiguo. Appartenenza nostalgica e sentimento di disunità. Siamo tutti sardi ma non si capisce che cosa vogliono essere “i sardi”.
È il 1990, Sergio Atzeni conduce delle ricerche per quella che sarà l’epopea di “Passavamo sulla terra leggeri”, gira la Sardegna, visita quelli che definirà “i luoghi del sacro”. Si tratta di un sacro religioso e culturale insieme, un “sacro sardo”, come quello che appare inaspettatamente a risolvere i drammi metropolitani di “Bellas mariposas”. Atzeni approda carico di attese, nella cattedrale di Oristano: la immagine sublimazione di questa sacralità di cui è alla ricerca e invece, dentro alla chiesa ispanizzata, vive una profonda delusione. Ma è solo il preludio a una vera e propria epifania: uscendo, quasi come davanti ad un’apparizione sacra e laica al contempo, il suo sguardo si posa su un simbolo. Un simbolo di unità e libertà. Atzeni ci descrive questa scena, il momento, il luogo: eppure là dove lui ce lo indica quell’Albero materialmente non c’è, e nonostante ciò lui lo vede . chi parla è già Atzeni, il custode del tempo, il cantore di un popolo che narra di una memoria obliata, di una presenza assente (o di una assenza che vuol farsi presente), di un rimosso che ritorna grazie alla potenza dell’immaginazione e della conoscenza. Come disse McLuhan, se non c’avessi creduto, non l’avrei visto.
QUATTRO MORI A BRUXELLES
Articolo di Mauro Podda su L'Unione Sarda di Sabato 12 aprile 2008
Scoperta forse è un po’ esagerato: in realtà si è materializzata come una beata apparizione agli occhi di un appassionato e studioso durante una vacanza a Bruxelles (potenza dei low cost).
Nella magnifica Grande Place vi è il museo della città, un palazzo neogotico nelle cui vetrate sono riprodotti gli stemmi dei regni della monarchia ispanica, fra cui quello del Regno di Sardegna. Ma è una riproduzione ottocentesca. Si poteva già essere contenti di vedere il nostro simbolo in un vecchio palazzo della capitale europea! Potete immaginare l’incredulità quando gli occhi sono caduti in una vetrina ove era esposto uno splendido disegno cinquecentesco… coi quattro mori di Sardegna.
Si tratta della riproduzione di una processione che si tenne a Bruxelles in occasione dei funerali di Carlo V. Ogni regno di cui l’imperatore era sovrano è rappresentato da un alfiere portabandiera e da un cavallo bardato.
È uno splendido libro intitolato “La magnifique et sompteuse pompe funebre faite aus obseques et funeraillesdu tre grande et tre victorieus empereur Charles cinqueme, celebrees en la ville de Bruxelles le 29e jour du mois de icembre 1558 par Philippes roy catholique d’Espaigne son fils”, pubblicato ad Anversa dal famoso tipografo Plantin nel 1559. Non appare il nome dell’autore dei disegni (non esiste testo). Fino ad oggi non era conosciuto in Sardegna, il libro è piuttosto raro, esistono poche copie in Europa e sembra nessuna in Italia.
Il nostro stemma appare infatti in alcuni testi a stampa già nella seconda metà del cinquecento (“Capitols de Cort del Stament Militar de Sardenya” pubblicato a Cagliari nel 1572 a cura di Francesco Bellit; “De titulis Philippi Austrii Regis Cattolici Liber” di Iacopo Mainoldi Galerati del 1573 a Bologna, “Le Blason des Armoires” di Hierosme de Bara del 1581 a Lione), con dei semplici e non particolarmente attraenti disegni.
Il disegno di Bruxelles non è soltanto il più bello, ma anche il più antico apparso in testo stampato. Questa scoperta è anche occasione per avanzare nuove ipotesi sul significato simbolico e sull’origine del nostro stemma.
Dagli studiosi che negli ultimi anni si erano occupati del nostro stemma (Luisa d’Arienzo, Barbara Fois, Salvatorangelo Palmerio Spanu, ecc.) sapevamo che i quattro mori appaiono già nella seconda metà del duecento nei sigilli plumbei della Corona d’Aragona; e il primo disegno a mano appare in una raccolta di stemmi europei nel cosiddetto “stemmario di Gerle”, dai più attribuito alla fine del Trecento. Lo stemmario di Gerle, composto tra il 1371 e il 1395 (e conservato alla Biblioteca Reale di Bruxelles), lo indica appunto come emblema della nostra isola nell’ambito degli stati della Corona d’Aragona.
Come sia finito a rappresentare la Sardegna con continuità, come abbiamo visto, almeno dal Cinquecento, ancora in effetti non è chiaro, ma analizzandone più a fondo gli elementi forse potremmo avere qualche indizio in più. Occorre chiarire che l’intitolazione del Regno di Sardegna separata dal Regno di Corsica è piuttosto tarda (dal 1479, unione delle Corone di Castiglia ed Aragona sotto Isabella I e Ferdinando II), e dunque o lo stemmario di Gerle fu manipolato in epoca successiva oppure i due simboli di Sardegna e Corsica hanno un’origine diversa e sono dei veri simboli “etnici” delle due isole.
Infatti lo stemma della Corsica (ma non identificato come tale) compare a metà del Quattrocento negli affreschi di Piero della Francesca nella chiesa di San Francesco in Arezzo, ciclo della Storia della Vera Croce, sia nella battaglia di Eraclio e Corsoe, sia nella battaglia di Costantino e Massenzio.
PRIMA IPOTESI. L’ipotesi che qui prende corpo è che il simbolo noto “dei quattro mori”, composto da quattro teste inquartate dalla Croce di San Giorgio, sia un vero simbolo etnico della nazione sarda, concesso od elaborato in occasione delle crociate. A sostegno di tale ipotesi non si avanzano delle vere prove inconfutabili, ma una serie di indizi qualificanti.
Il simbolo in questione appare nei sigilli aragonesi prima dell’infeudazione da parte dei monarchi iberici (Giacomo il Conquistatore) attestate nel 1267. Nel medioevo non si potevano conquistare terre cristiane senza avere fondamenti religiosi ed avvalli ecclesiastici od imperiali (per esempio per debellare pericolose eresie) e fondamenti giuridico-dinastici, nel solco dell’antica tradizione barbarico-romana, che considerava lo Stato proprietà personale dei sovrani e pertanto divisibile tra i suoi eredi.
Il fatto che i sovrani Aragonesi chiedessero l’infeudazione della Sardegna sta a significare che avanzavano una qualche pretesa dinastica nei confronti della Sardegna. Sarebbe interessante effettuare delle ricerche storiche più approfondite con tale taglio sul carteggio tra la Corte Barcellonese e quella Romana.
SECONDA IPOTESI. Il fatto che Bonifacio VIII infeudasse il Regno di Sardegna e Corsica, ben sapendo che nell’isola era presente un’altra istituzione politica autoctona non esplicitamente nemica o ghibellina, il Giudicato di Arborea (gli altri tre Giudicati erano venuti meno da qualche decennio), significa che non voleva esplicitamente dare agli Aragonesi una “licentia invadendi” contro i domini del filo imperiale Comune Pisano, ma che intendeva costituire (o restituire) un’entità politica che comprendesse tutta la Sardegna (compreso il Giudicato di Arborea) e la Corsica. Non fu un atto effettuato dal pontefice esclusivamente “motu proprio”, nell’ambito degli equilibri politici tra le potenze europee, ma anche nel rispetto del pensiero e del diritto politico-istituzionale del tempo: i Giudici, anche se talvolta si paragonavano e si consideravano pari a dei re, non avevano il titolo di Re, ma quello di appunto Giudice, di antica tradizione Romano-Bizantina, paragonabile, nella gerarchia onorifica politica e nobiliare, a quello di un Duca.
TERZA. Lo stemma dei quattro mori compare nello stemmario di Gerle non in riferimento al Regno di Sardegna e Corsica, come sarebbe stato logico, ma in riferimento alla sola Sardegna, avendo la Corsica il suo proprio simbolo. Quindi, poiché non è possibile per ovvie ragioni iconografiche e storico-istituzionali, separare la storia dello stemma sardo da quello corso (con un unico moro), dobbiamo tenere conto che tale stemma viene largamente utilizzato solo a partire dal XVI secolo, quando cioè l’intitolazione dello Stato si riduce a Regno di Sardegna, coincidendo così lo Stato con l’isola e la Nazione Sarda.
QUARTA. La forma stessa del simbolo, sfruttando la quadripartizione offerta dalla Croce di San Giorgio, permetterebbe la rappresentazione paritaria dei quattro Giudicati, necessaria per motivi politici ed etnico-linguistici, nell’eventuale rappresentanza della Nazione Sarda nelle spedizioni crociate. I Corsi saranno rappresentati con certezza almeno dal Cinquecento dal simbolo con l’unico moro. Ma il parallelismo delle due bandiere suggerisce una medesima origine, magari nella corte papale e su designazione delle istituzioni politiche locali dei Santi guerrieri, protettori delle spedizioni. Anche Sant’Efisio era un Santo guerriero, ma sarebbe stato rappresentativo solo dei Calaritani e non degli altri Sardi.
In definitiva, se, come potrebbe sembrare, lo stemma dei quattro mori fu inventato in Aragona forse come simbolo delle forze cristiane combattenti contro i mussulmani nella “reconquista”, esso, per ragioni ad oggi sostanzialmente oscure, fu attribuito alla Sardegna e da allora, la seconda metà del XIV secolo, continuativamente la rappresenta in Araldica.
Scoperta forse è un po’ esagerato: in realtà si è materializzata come una beata apparizione agli occhi di un appassionato e studioso durante una vacanza a Bruxelles (potenza dei low cost).
Nella magnifica Grande Place vi è il museo della città, un palazzo neogotico nelle cui vetrate sono riprodotti gli stemmi dei regni della monarchia ispanica, fra cui quello del Regno di Sardegna. Ma è una riproduzione ottocentesca. Si poteva già essere contenti di vedere il nostro simbolo in un vecchio palazzo della capitale europea! Potete immaginare l’incredulità quando gli occhi sono caduti in una vetrina ove era esposto uno splendido disegno cinquecentesco… coi quattro mori di Sardegna.
Si tratta della riproduzione di una processione che si tenne a Bruxelles in occasione dei funerali di Carlo V. Ogni regno di cui l’imperatore era sovrano è rappresentato da un alfiere portabandiera e da un cavallo bardato.
È uno splendido libro intitolato “La magnifique et sompteuse pompe funebre faite aus obseques et funeraillesdu tre grande et tre victorieus empereur Charles cinqueme, celebrees en la ville de Bruxelles le 29e jour du mois de icembre 1558 par Philippes roy catholique d’Espaigne son fils”, pubblicato ad Anversa dal famoso tipografo Plantin nel 1559. Non appare il nome dell’autore dei disegni (non esiste testo). Fino ad oggi non era conosciuto in Sardegna, il libro è piuttosto raro, esistono poche copie in Europa e sembra nessuna in Italia.
Il nostro stemma appare infatti in alcuni testi a stampa già nella seconda metà del cinquecento (“Capitols de Cort del Stament Militar de Sardenya” pubblicato a Cagliari nel 1572 a cura di Francesco Bellit; “De titulis Philippi Austrii Regis Cattolici Liber” di Iacopo Mainoldi Galerati del 1573 a Bologna, “Le Blason des Armoires” di Hierosme de Bara del 1581 a Lione), con dei semplici e non particolarmente attraenti disegni.
Il disegno di Bruxelles non è soltanto il più bello, ma anche il più antico apparso in testo stampato. Questa scoperta è anche occasione per avanzare nuove ipotesi sul significato simbolico e sull’origine del nostro stemma.
Dagli studiosi che negli ultimi anni si erano occupati del nostro stemma (Luisa d’Arienzo, Barbara Fois, Salvatorangelo Palmerio Spanu, ecc.) sapevamo che i quattro mori appaiono già nella seconda metà del duecento nei sigilli plumbei della Corona d’Aragona; e il primo disegno a mano appare in una raccolta di stemmi europei nel cosiddetto “stemmario di Gerle”, dai più attribuito alla fine del Trecento. Lo stemmario di Gerle, composto tra il 1371 e il 1395 (e conservato alla Biblioteca Reale di Bruxelles), lo indica appunto come emblema della nostra isola nell’ambito degli stati della Corona d’Aragona.
Come sia finito a rappresentare la Sardegna con continuità, come abbiamo visto, almeno dal Cinquecento, ancora in effetti non è chiaro, ma analizzandone più a fondo gli elementi forse potremmo avere qualche indizio in più. Occorre chiarire che l’intitolazione del Regno di Sardegna separata dal Regno di Corsica è piuttosto tarda (dal 1479, unione delle Corone di Castiglia ed Aragona sotto Isabella I e Ferdinando II), e dunque o lo stemmario di Gerle fu manipolato in epoca successiva oppure i due simboli di Sardegna e Corsica hanno un’origine diversa e sono dei veri simboli “etnici” delle due isole.
Infatti lo stemma della Corsica (ma non identificato come tale) compare a metà del Quattrocento negli affreschi di Piero della Francesca nella chiesa di San Francesco in Arezzo, ciclo della Storia della Vera Croce, sia nella battaglia di Eraclio e Corsoe, sia nella battaglia di Costantino e Massenzio.
PRIMA IPOTESI. L’ipotesi che qui prende corpo è che il simbolo noto “dei quattro mori”, composto da quattro teste inquartate dalla Croce di San Giorgio, sia un vero simbolo etnico della nazione sarda, concesso od elaborato in occasione delle crociate. A sostegno di tale ipotesi non si avanzano delle vere prove inconfutabili, ma una serie di indizi qualificanti.
Il simbolo in questione appare nei sigilli aragonesi prima dell’infeudazione da parte dei monarchi iberici (Giacomo il Conquistatore) attestate nel 1267. Nel medioevo non si potevano conquistare terre cristiane senza avere fondamenti religiosi ed avvalli ecclesiastici od imperiali (per esempio per debellare pericolose eresie) e fondamenti giuridico-dinastici, nel solco dell’antica tradizione barbarico-romana, che considerava lo Stato proprietà personale dei sovrani e pertanto divisibile tra i suoi eredi.
Il fatto che i sovrani Aragonesi chiedessero l’infeudazione della Sardegna sta a significare che avanzavano una qualche pretesa dinastica nei confronti della Sardegna. Sarebbe interessante effettuare delle ricerche storiche più approfondite con tale taglio sul carteggio tra la Corte Barcellonese e quella Romana.
SECONDA IPOTESI. Il fatto che Bonifacio VIII infeudasse il Regno di Sardegna e Corsica, ben sapendo che nell’isola era presente un’altra istituzione politica autoctona non esplicitamente nemica o ghibellina, il Giudicato di Arborea (gli altri tre Giudicati erano venuti meno da qualche decennio), significa che non voleva esplicitamente dare agli Aragonesi una “licentia invadendi” contro i domini del filo imperiale Comune Pisano, ma che intendeva costituire (o restituire) un’entità politica che comprendesse tutta la Sardegna (compreso il Giudicato di Arborea) e la Corsica. Non fu un atto effettuato dal pontefice esclusivamente “motu proprio”, nell’ambito degli equilibri politici tra le potenze europee, ma anche nel rispetto del pensiero e del diritto politico-istituzionale del tempo: i Giudici, anche se talvolta si paragonavano e si consideravano pari a dei re, non avevano il titolo di Re, ma quello di appunto Giudice, di antica tradizione Romano-Bizantina, paragonabile, nella gerarchia onorifica politica e nobiliare, a quello di un Duca.
TERZA. Lo stemma dei quattro mori compare nello stemmario di Gerle non in riferimento al Regno di Sardegna e Corsica, come sarebbe stato logico, ma in riferimento alla sola Sardegna, avendo la Corsica il suo proprio simbolo. Quindi, poiché non è possibile per ovvie ragioni iconografiche e storico-istituzionali, separare la storia dello stemma sardo da quello corso (con un unico moro), dobbiamo tenere conto che tale stemma viene largamente utilizzato solo a partire dal XVI secolo, quando cioè l’intitolazione dello Stato si riduce a Regno di Sardegna, coincidendo così lo Stato con l’isola e la Nazione Sarda.
QUARTA. La forma stessa del simbolo, sfruttando la quadripartizione offerta dalla Croce di San Giorgio, permetterebbe la rappresentazione paritaria dei quattro Giudicati, necessaria per motivi politici ed etnico-linguistici, nell’eventuale rappresentanza della Nazione Sarda nelle spedizioni crociate. I Corsi saranno rappresentati con certezza almeno dal Cinquecento dal simbolo con l’unico moro. Ma il parallelismo delle due bandiere suggerisce una medesima origine, magari nella corte papale e su designazione delle istituzioni politiche locali dei Santi guerrieri, protettori delle spedizioni. Anche Sant’Efisio era un Santo guerriero, ma sarebbe stato rappresentativo solo dei Calaritani e non degli altri Sardi.
In definitiva, se, come potrebbe sembrare, lo stemma dei quattro mori fu inventato in Aragona forse come simbolo delle forze cristiane combattenti contro i mussulmani nella “reconquista”, esso, per ragioni ad oggi sostanzialmente oscure, fu attribuito alla Sardegna e da allora, la seconda metà del XIV secolo, continuativamente la rappresenta in Araldica.
SUI QUATTRO MORI ... IL SOLE NON TRAMONTA MAI
Articolo di Fabriziu Dettori sul SASSARESE del 30 giugno 2008
Il primo giovedì di ogni luglio si svolge a Bruxelles l’Ommegang (dal fiammingo omme intorno e gang marciare, andare), una festa che commemora, nell’imponente scenario della Grand –Place, la figura di Carlo V re di Spagna (1550 – 1558) e la sua corte. La manifestaione, forse la più grande di tutto il Belgio nella quale partecipano più di 1400 comparse, è la rappresentazione storica e culturale della visita del sovrano citato nella capitale belga. La festa ha la durata di tre giorni. Carlo V era sovrano di un grande regno, egli, infatti, già discendente di Filippo d’Asburgo e di Giovanna della La Pazza (figlia di Ferdinando d’Aragona e di Isabella di Castiglia), ricevette, per effetto di un’intricata rete di parentado esteso in quasi tutta Europa e che non stiamo qui a spiegare, in eredità un impero vastissimo, sul quale, secondo le sue stesse parole, “Non tramontava mai il sole”. Alla sola età di 19 anni il suo reame comprendeva la Castiglia, la Navarra, le Asturie, il regno d’Aragona, la Valencia, Maiorca, le contee sovrane di Barcellona, Rossiglione Cerdagna, il Regno di Napoli, Sicilia,i Paesi Bassi, le Fiandre, l’Artois, la Basacon, l’arciducato d’Austria con stiria, Corinzia, Tirolo, Milano, i regni di Wurttemberg, Boemia, Ungheria e infine, i territori dell’Africa settentrionale, dell’America centrale e di quella caraibica.
Ciò che a noi interessa è, però, che insieme a tutti questi possedimenti, Carlo V ereditò anche il Regno di Sardegna e il simbolo che lo rappresentava: i quattro mori. Tale insegna pare realizzata da Pietro I d’Aragona nel 1096 per immortalare la vittoria sui “mori” avvenuta ad Alcoraz, ma sarà compiutamente palese nel 1281 nel sigillo della cancelleria catalano – aragonese di Pietro II detto “il Grande”. Ancora oggi i quattro mori fanno parte dello scudo istituzionale sia della “Comunidad Autònoma de Aragòn” sia della “Provincia de Zaragoza” (Saragoza). La bandiera dell’anticum Regnum Sardiniae, e non – si badi bene – della Sardegna, figurava, quiandi, nella corte di questo eminente monarca, unitamente a tutte le altre, a testimoniare la sua autorità suprema su quel territorio. Tutta la politica che precedette – e succedette – tale lascito, tra guerre di mantenimento e di conquiste, e lo stesso ricambio dei re, passando per Ferdinando II d’Aragona (detto il cattolico) Carlo V, Vittorio Amedeo II di Savoia, avvenne sovrastando la storia dei sardi per costituire quella delle potenti istituzioni riportate.
I quattro mori hanno seguito questo iter, rappresentando di volta in volta le autorità che hanno dominato il popolo sardo. I Savoia adotteranno la bandiera del Regno di Sardegna (citato nella manualistica anche come “Regno sardo-piemontese” o “Regno di Piemonte-Sardegna”), in fregi, piastre, scudi , bandiere di Stato, quindi nelle insegne mercantili e militari. Lo stesso Carlo Felice, sesto re di Sardegna di Casa Savoia dal 1821 al 1831, utilizzò i quattro mori bene in vista nel suo scudo regio. Gli italiani usarono, con sicurezza nel 1848, la bandiera “sarda”, prima dell’assunzione del Tricolore, come simbolo di lotta per la libertà (come, similmente, fanno oggi molti sardi) anche nella prima Guerra d’indipendenza, (dal 14° reggimento fanteria) nei comizi e per acclamare il re Carlo Alberto.
Di pertinenza prima aragonese, quindi spagnola, austriaca, piemontese e italiana, si fa “sarda”, quando la cosiddetta “Regione Autonoma della Sardegna”, convinta anche dalle parole dei padri della sardità, in specie Emilio Lussu e Camillo Bellieni, decise di adottarla quale gonfalone istituzionale. Entrambi i sardisti consideravano la Sardegna “Nazione fallita”, “abortita”, “mancata”, ma, in particolare, Lussu sosteneva: “In realtà noi non abbiamo avuto storia. La nostra storia è quella di Roma, d’Aragona, ecc.” Bellieni, inoltre, reputava il più grande Sovrano, forse più importante di tutta la storia della nazione sarda, Mariano IV, un “Regolo rurale”! Ancora una volta “la storia dei vinti” fu repressa e a vincere, fu la storia degli altri, i vincitori. La bandiera dei quattro mori, quindi, è presente all’Ommegang come stemma storico ereditato dagli antenati di Carlo V, a rappresentanza, insieme a tanti altri, delle sue proprietà. Ma i “mori” sono presenti anche nelle vetrate del ricostruito “Palazzo del Re”, nella Grand-Place, e in un libro, come di recente ha ricordato lo studioso Mauro Podda, custodito nel museo in questo stesso stabile, di disegni nei quali è “fotografata” la cerimonia funebre del re di Spagna.
E’ interessante sapere, inoltre, che nella biblioteca nazionale di Parigi vi è una carta geografica del XVII secolo, in unico esemplare, della nostra isola, la “Descripcion de la isla y regno de Serdena”, nella quale sormontano i simboli degli stati che la conquistarono: i pali della Catalunya e i quattro mori d’Aragona. È incantevole la bandiera “sarda” che barda i cavalli e altrettanto lo è nelle bandiere portate dai cavalieri nell’importante rappresentazione dell’Ommegang. È bella, certo, ma non possiamo cadere nell’illusione di essere rappresentati dalla storia, perché, quella scorsa con essi, ha avuto un significato solo per i vincitori del popolo sardo. Noi, che possiamo vantare ben 500 anni di sovranità storica accertata con lo Stato (o Giudicato) Arborense, siamo caduti nella sudditanza quattro moresca, la quale cancella la vera storia dei sardi: quella dell’Albero verde diradicato.
Il primo giovedì di ogni luglio si svolge a Bruxelles l’Ommegang (dal fiammingo omme intorno e gang marciare, andare), una festa che commemora, nell’imponente scenario della Grand –Place, la figura di Carlo V re di Spagna (1550 – 1558) e la sua corte. La manifestaione, forse la più grande di tutto il Belgio nella quale partecipano più di 1400 comparse, è la rappresentazione storica e culturale della visita del sovrano citato nella capitale belga. La festa ha la durata di tre giorni. Carlo V era sovrano di un grande regno, egli, infatti, già discendente di Filippo d’Asburgo e di Giovanna della La Pazza (figlia di Ferdinando d’Aragona e di Isabella di Castiglia), ricevette, per effetto di un’intricata rete di parentado esteso in quasi tutta Europa e che non stiamo qui a spiegare, in eredità un impero vastissimo, sul quale, secondo le sue stesse parole, “Non tramontava mai il sole”. Alla sola età di 19 anni il suo reame comprendeva la Castiglia, la Navarra, le Asturie, il regno d’Aragona, la Valencia, Maiorca, le contee sovrane di Barcellona, Rossiglione Cerdagna, il Regno di Napoli, Sicilia,i Paesi Bassi, le Fiandre, l’Artois, la Basacon, l’arciducato d’Austria con stiria, Corinzia, Tirolo, Milano, i regni di Wurttemberg, Boemia, Ungheria e infine, i territori dell’Africa settentrionale, dell’America centrale e di quella caraibica.
Ciò che a noi interessa è, però, che insieme a tutti questi possedimenti, Carlo V ereditò anche il Regno di Sardegna e il simbolo che lo rappresentava: i quattro mori. Tale insegna pare realizzata da Pietro I d’Aragona nel 1096 per immortalare la vittoria sui “mori” avvenuta ad Alcoraz, ma sarà compiutamente palese nel 1281 nel sigillo della cancelleria catalano – aragonese di Pietro II detto “il Grande”. Ancora oggi i quattro mori fanno parte dello scudo istituzionale sia della “Comunidad Autònoma de Aragòn” sia della “Provincia de Zaragoza” (Saragoza). La bandiera dell’anticum Regnum Sardiniae, e non – si badi bene – della Sardegna, figurava, quiandi, nella corte di questo eminente monarca, unitamente a tutte le altre, a testimoniare la sua autorità suprema su quel territorio. Tutta la politica che precedette – e succedette – tale lascito, tra guerre di mantenimento e di conquiste, e lo stesso ricambio dei re, passando per Ferdinando II d’Aragona (detto il cattolico) Carlo V, Vittorio Amedeo II di Savoia, avvenne sovrastando la storia dei sardi per costituire quella delle potenti istituzioni riportate.
I quattro mori hanno seguito questo iter, rappresentando di volta in volta le autorità che hanno dominato il popolo sardo. I Savoia adotteranno la bandiera del Regno di Sardegna (citato nella manualistica anche come “Regno sardo-piemontese” o “Regno di Piemonte-Sardegna”), in fregi, piastre, scudi , bandiere di Stato, quindi nelle insegne mercantili e militari. Lo stesso Carlo Felice, sesto re di Sardegna di Casa Savoia dal 1821 al 1831, utilizzò i quattro mori bene in vista nel suo scudo regio. Gli italiani usarono, con sicurezza nel 1848, la bandiera “sarda”, prima dell’assunzione del Tricolore, come simbolo di lotta per la libertà (come, similmente, fanno oggi molti sardi) anche nella prima Guerra d’indipendenza, (dal 14° reggimento fanteria) nei comizi e per acclamare il re Carlo Alberto.
Di pertinenza prima aragonese, quindi spagnola, austriaca, piemontese e italiana, si fa “sarda”, quando la cosiddetta “Regione Autonoma della Sardegna”, convinta anche dalle parole dei padri della sardità, in specie Emilio Lussu e Camillo Bellieni, decise di adottarla quale gonfalone istituzionale. Entrambi i sardisti consideravano la Sardegna “Nazione fallita”, “abortita”, “mancata”, ma, in particolare, Lussu sosteneva: “In realtà noi non abbiamo avuto storia. La nostra storia è quella di Roma, d’Aragona, ecc.” Bellieni, inoltre, reputava il più grande Sovrano, forse più importante di tutta la storia della nazione sarda, Mariano IV, un “Regolo rurale”! Ancora una volta “la storia dei vinti” fu repressa e a vincere, fu la storia degli altri, i vincitori. La bandiera dei quattro mori, quindi, è presente all’Ommegang come stemma storico ereditato dagli antenati di Carlo V, a rappresentanza, insieme a tanti altri, delle sue proprietà. Ma i “mori” sono presenti anche nelle vetrate del ricostruito “Palazzo del Re”, nella Grand-Place, e in un libro, come di recente ha ricordato lo studioso Mauro Podda, custodito nel museo in questo stesso stabile, di disegni nei quali è “fotografata” la cerimonia funebre del re di Spagna.
E’ interessante sapere, inoltre, che nella biblioteca nazionale di Parigi vi è una carta geografica del XVII secolo, in unico esemplare, della nostra isola, la “Descripcion de la isla y regno de Serdena”, nella quale sormontano i simboli degli stati che la conquistarono: i pali della Catalunya e i quattro mori d’Aragona. È incantevole la bandiera “sarda” che barda i cavalli e altrettanto lo è nelle bandiere portate dai cavalieri nell’importante rappresentazione dell’Ommegang. È bella, certo, ma non possiamo cadere nell’illusione di essere rappresentati dalla storia, perché, quella scorsa con essi, ha avuto un significato solo per i vincitori del popolo sardo. Noi, che possiamo vantare ben 500 anni di sovranità storica accertata con lo Stato (o Giudicato) Arborense, siamo caduti nella sudditanza quattro moresca, la quale cancella la vera storia dei sardi: quella dell’Albero verde diradicato.
L'EMBLEMA DEI QUATTRO MORI
Relazione a cura di Canopoli Maria Paola, Leoni Simona, Liperi Miriam, studentesse del Laboratorio di Metodologia Storica dell'Universita di Cagliari, Anno Accademico 2007/2008
INDICE
Premessa
1.1 Chi, quando e perché venne creato questo stemma
1.2 Iconografia
1.3 Il mito della benda
1.4 Sitografia
1.5 Bibliografia
Premessa
L’emblema dei quattro mori è indissolubilmente legato alla bandiera della Regione autonoma Sarda che con LEGGE REGIONALE del 15 aprile 1999, n 10, all’art. 1 “…adotta quale sua bandiera quella tradizionale della Sardegna: campo bianco crociato di rosso con in ciascun quarto una testa di moro bendata sulla fronte rivolta in direzione opposta all'inferitura”.
La ricerca da noi condotta ha portato alla luce la natura controversa dell’origine di tale stemma e come, nel corso del tempo, leggende e storia si siano sovrapposte creando non poca confusione generalizzata nell’opinione pubblica e accese discussioni tra i vari studiosi.
1.1 Chi, quando e perché venne creato questo stemma
La prima apparizione storica del simbolo dei quattro mori viene fatta risalire ad una bolla plumbea utilizzata dalla cancelleria reale di Pietro il Grande (1094-1104), re d’Aragona, nel 1281, di cui si trova una riproduzione simile presso l’Archivio di Stato di Cagliari, risalente al 1326 utilizzata da Giacomo II d’Aragona. La scelta dell’iconografia non fu certo casuale, identificava la vittoria inflitta ai moriscos nei territori di Aragona, Catalogna, Valenza, Maiorca.
Questo fatto storico si intreccia però con una varietà di leggende sull’origine del simbolo che ha visto contrapporsi principalmente due teorie: la prima sostenuta dal Baille nell’800, ritiene che l’arma sia di origine aragonese e che sia stata importata nell’Isola all’epoca della dominazione iberica, la seconda innalzata dagli storici del ‘600, propugna l’origine indigena dell’emblema.
Secondo la leggenda iberica e della teoria dello storico spagnolo Zurita (1512-1580), che scrisse gli Anales de la corona de Aragon , il simbolo dei quattro mori è stato creato da re Pietro I d’Aragona, quale celebrazione della vittoria di Alcoraz, quando fu riconquistata la città di Huesca avvenuta effettivamente nel 1096, che sarebbe stata ottenuta anche grazie all’intervento prodigioso di un cavaliere che indossava un’armatura bianca con una croce fiammeggiante sul petto, che era in realtà San Giorgio. La leggenda narra che i Saraceni vennero sconfitti e quando i vincitori tornarono sul campo di battaglia per raccogliere il bottino, trovarono quattro teste di mori, staccate dal corpo, con turbanti tempestati di gemme.
Alla leggenda iberica si contrappone e si intreccia per alcuni versi, quella sardo-pisana che rivendica una origine dei quattro mori completamente indigena che fu elaborata pochi decenni dopo la morte dello Zurita.
I sostenitori della teoria dell’origine autoctona dell’emblema risalgono all’epoca delle invasioni arabe quando i Sardi lottarono duramente per la difesa dell’Isola contro il re arabo Museto (1014 -1016).
Ranieri Sardo scrive nel 1450 le “Cronache di Pisa” nelle quali racconta che Papa Benedetto VIII (1012 – 1024) conferì nel 1027 ai Pisani (che insieme ai Genovesi contribuirono a scacciare i Saraceni, preoccupante minaccia degli interessi economici legati alle miniere, dalla Sardegna), un gonfalone rosso con una croce bianca al centro; la guerra contro gli Arabi avrebbe assunto, dunque, nell’Isola il significato di vera crociata.
Alcuni identificano nei quattro mori i quattro Giudicati sardi vittoriosi sugli Arabi. Questa teoria riconosceva nello stemma un simbolo vittorioso, tutto sardo, nato in uno dei pochi momenti storici, appunto quello giudicale, in cui l’isola non fu soggetta a dominazioni esterne.
1.2 Iconografia
La documentazione iconografica consente, in questo caso, di conferire maggiore “scientificità” alla ricerca stessa sui quattro mori, consentendo di creare il filo cronologico, ripercorrendo l’iconografia dell’emblema fin dalle sue prime raffigurazioni ufficiali, come ad esempio quelle presenti in monete, sigilli o frontespizi di testi, che consentano datazioni certe e che diano garanzie di autenticità.
Il primo disegno a mano appare in una raccolta di stemmi europei nel cosiddetto “Stemmario di Gelre”, manoscritto databile tra il 1370-1386,
in cui per la prima volta compare lo stemma dei quattro mori come simbolo della Sardegna nell’ambito degli stati della Corona d’Aragona.
La primissima testimonianza relativa all’uso del simbolo, attribuito in stretto collegamento alla Sardegna, risale al 1558, quando in occasione delle onoranze funebri tributate al re Carlo V dalla città di Bruxelles, sfilò un cavallo con lo scudo sardo dei quattro mori. Questa immagine si trova riprodotta in un libro intitolato “La magnifique et sompteuse pompe funebre faite aus obseques et funeraillesdu tre grande et tre victorieus empereur Charles cinqueme, celebrees en la ville de Bruxelles le 29e jour du mois de icembre 1558 par Philippes roy catholique d’Espaigne son fils”, pubblicato ad Anversa dal famoso tipografo Plantin nel 1559 custodito nel museo di Bruxelles e del quale pare non esista
nessuna copia in Italia.
La più antica attestazione dello scudo dei “quattro mori” in Sardegna sembrerebbe sia presente in un’opera (anch’essa consultabile presso l’Archivio di Stato di Cagliari). Nel frontespizio dei Capitols de Cort del Stament militar de Serdenya, pubblicati a Cagliari nel 1590, è raffigurato uno scudo, di forma ovale, sormontato da una corona, suddiviso da una croce piana in quattro cantoni, nei cui angoli sono raffigurate quattro teste di profilo, rivolte a sinistra di chi guarda e cinte sulla fronte da una benda legata agli occipiti, con gli occhi liberi.
1.3 Il mito della benda
Il problema della benda raffigurata a volte sulla fronte altre sugli occhi è stato oggetto di minore interesse ed è diventato argomento di attualità solo dopo che l’emblema è stato ufficialmente adottato dal Partito Sardo d’Azione (1920) e dalla Regione Autonoma della Sardegna. La variante erronea della benda calata sugli occhi conferiva maggiore credibilità alla teoria indigena, in quanto pareva simboleggiare lo stato di La tipologia dell’emblema appare molto confusa soprattutto nelle opere a stampa, ma si trovano varianti anche sulle monete e sui sigilli soprattutto a partire dalla seconda metà del ‘400: si vedano ad es., la bolla di Ferdinando il Cattolico (1479-1516) in cui le quattro teste sono affrontate e coronate; i reali di Carlo V (1516-56) coniati a Saragozza nel 1520 in cui appaiono 4 teste coronate e rivolte a sinistra; i cagliaresi di Carlo Emanuele III
( 1730-1773) in cui i mori hanno bende frontali e sono rivolti a destra etc. Questa confusione nella tipologia era dovuta a due cause: in terra iberica erano decadute le motivazioni politiche che avevano portato alla sua creazione; in terra sarda invece erano troppe e diverse le leggende sull’origine dell’emblema.
C'è da precisare che sulle opere a stampa e sulle monete il simbolo dei quattro mori arrivò solo dopo 1571 invece sui gonfaloni dei corpi militari istituiti da Carlo V per la difesa dell'isola e composti da sardi, detti Terçios de Cerdena, i quattro mori si erano già distinti nelle azioni di guerra, sventolando valorosamente a Tunisi nel 1535 e a Lepanto nel 1571, contro i Turchi. (Barbara Fois, Lo stemma dei quattro mori, Sassari 1990) schiavitù dell’arabo sconfitto, e non del sardo dominato.
Nel 1571 P. Bellit descriveva lo stemma "Croce rossa in campo bianco con quattro teste di moro accantonate e rivolte a destra di chi guarda e portanti un'ampia benda o turbante - che non è un fazzoletto, ma un simbolo della regalità - sulla fronte ed occhio libero". (Luigi Pinelli, 1979, “Emblema della Sardegna origine e trasformazione”, pag. 8). Nel 1610 viene stampata a Saragozza una edizione degli “Anales” dello Zurita, qui i quattro mori sono diventati quattro re barbuti e coronati, rivolti a sinistra. Nel 1631 sul manoscritto del Carmona, “Alabanças de los Santos de Sardina”, i quattro mori appaiono affrontati al centro e con la testa libera da bende e da corone. I due di destra appaiono di profilo, mentre i due di sinistra appaiono di tre quarti, quasi si stessero girando verso il lettore. Il disegno è molto rozzo e primitivo e le teste sproporzionate.
Nelle opere a stampa già dal regno di Vittorio Amedeo III (1726-1796) la benda era caduta sugli occhi dei quattro mori, non si sa se per imperizia dei litografi o malizia dei governanti. Così anche sulle bandiere dei miliziani, che avevano sostituito gli spagnoli Terçios, i mori erano raffigurati con gli occhi bendati. (Barbara Fois, Lo stemma dei quattro mori, 1990, Sassari, p.31).
Il problema della posizione della benda era nato a causa di una poco curata realizzazione dell’emblema a partire dalla metà del ‘700, negli editti regi destinati al Regno di Sardegna e pubblicati nella stamperia reale di Torino e in varie stamperie cagliaritane. Le matrici per la stampa paiono essere sempre le stesse: i mori, rivolti a sinistra come nelle monete, hanno una benda sottilissima collocata tanto bassa sulla fronte che, in alcuni casi sembra coprire gli occhi. ( Luisa D’ Arienzo, p. 34-35).
Con Carlo Alberto la bandiera del regno di Sardegna diventa il tricolore, anche se la bandiera dei Quattro mori continua ad essere usata come stemma di corpi militari sardi. Con la fusione della Sardegna al Piemonte (1847-48) e con la relativa rinuncia all’autonomia da parte degli isolani, cessò di esistere l’antico “Regnum Sardiniae” e l’emblema dei quattro mori cadde in disuso. Sicuramente i piemontesi non dovevano avere una grande simpatia per l’emblema dei Quattro mori, prova ne sia che già nella riunione del primo Parlamento subalpino i deputati sardi non trovarono lo stemma dell’isola tra quelli dipinti nella sala assembleare. Alle vivaci proteste di Pasquale Tola il ministro si giustificò dicendo che l’artista involontariamente, l’aveva dimenticato.
Con la formazione del Regno d’ Italia (1861) fu adottato ufficialmente come emblema la croce bianca in campo rosso dei Savoia, mentre l’insegna sarda non fu più usata. Lo scudo crociato perse il suo significato originario di emblema di un piccolo regno autonomo e restò in uso come insegna di un’ isola che costituiva solo una parte geografica del nuovo regno in cui era stata assorbita. (Luisa D’Arienzo, Lo scudo dei “quattro mori” e la Sardegna. Cagliari 1983).
Lo stemma dei quattro mori ricomparve nel 1921 quando alcuni reduci della Grande Guerra fondarono il Partito Sardo D’Azione, qui i mori sono
rappresentati con la benda sugli occhi e non sulla fronte e con le teste volte a sinistra (www.lamiasardegna.it). Questa seconda versione dell’emblema
con i mori bendati, affermatasi col tempo nella tradizione popolare, ha finito per prevalere ed è divenuta nel 1952 l’insegna ufficiale della Regione Autonoma della Sardegna che nell’adottarla ha preferito aderire alla teoria (peraltro sbagliata) della sua origine autoctona, secondo la quale i quattro mori bendati simboleggerebbero le vittorie dei giudicati sardi contro gli arabi. (Luisa D’Arienzo “Lo scudo dei quattro mori e la Sardegna”, Cagliari, 1983).
Molti studiosi di storia sarda si sono chiesti per quale ragione i creatori del Partito Sardo D’Azione, (giovani valorosi e dotati di ottima cultura, ma rivelatisi troppo avventati ad accettare un emblema contraffatto) non si siano sincerati su quale fosse stata l’evoluzione storica dell’arma che aveva portato la Sardegna ad adottare il simbolo moresco? E perché non sia stata fatta presente l’inesattezza e non si è saputo consigliare gli uomini politici che si accingevano a dare vita alla Regione Autonoma della Sardegna di non continuare nello sbaglio commesso col adottare uno stemma contraffatto? (Luigi Pinelli, Emblema della Sardegna, Sassari, 1979, p.38).
Solo nel 1999 la bandiera viene modificata rettificando l’errore grafico, e riporta la benda sulla fronte dei mori che sono rivolti verso destra ed hanno riaperto gli occhi «Come auspicio che i sardi aprano finalmente gli occhi» (L’Unione sarda, 1 giugno 2006).
Il promotore della legge del 1999 sulla bandiera, proposta da Salvatore Bonesu, era Leonardo Melis, allora consigliere nazionale del Partito Sardo D’Azione.(www.lamiasardegna.it)
1.4 Sitografia
www.aggius.net/storia.asp
www.bandierasarda.it
www.cittaturistica.it/articoli.php?id=bandiera_dei_4_mori
www.comuni-italiani.it/20/stemm.html
www.lamiasardegna.it/files/945.htm
www.luigiladu.it/sardegna/quattro_mori.htm
www.peppecau.it/regione_sardegna.html
www.sardegnaland.it/news.php?item.58
www.wikipedia.org/wiki/bandiera_dei_quattro_mori
www.regione.sardegna.it
1.5 Bibliografia
Articolo di Podda Mauro in L'Unione Sarda di Sabato 12 aprile 2008 QUATTRO MORI A BRUXELLES
Boscolo A., “L’isola dei quattro mori”, in Storie di Sardegna miti e memorie del popolo sardo, Cagliari, 1987.
Casula F.C., Eleonora. Regina del regno di Arborea, Sassari, 2003.
Casula F.C., La Sardegna aragonese. Vol.I. La corona d’Aragona; Vol.II. La Nazione Sarda, Sassari, 1990.
D’Arienzo Luisa, Perché quattro, perché mori in SARDEGNA FIERISITCA / APRILE-MAGGIO 1984, dal sottotitolo:
Storia e leggenda dietro lo stemma della nostra regione.
Eleonora d’Arborea, La Carta de Logu, Sassari, 2003, edizione speciale per “La biblioteca de La nuova Sardegna”.
Fois B. Lo stemma dei quattro mori, Sassari, 1990.
Intervista a Sedda F., in l’Unione Sarda di sabato 27 ottobre 2007 –
Legge Regionale 15 aprile 1999, n. 10
Lippi S. Gli stemmi della Sardegna e delle sue antiche città, Bologna, 1928?
Pinelli L. L’emblema della Sardegna:origine e trasformazione, Sassari, 1979.
Sedda F. Gli stemmi della Sardegna e delle sue antiche città, Bologna, 1928.
Sedda F., La vera storia della bandiera dei sardi.
INDICE
Premessa
1.1 Chi, quando e perché venne creato questo stemma
1.2 Iconografia
1.3 Il mito della benda
1.4 Sitografia
1.5 Bibliografia
Premessa
L’emblema dei quattro mori è indissolubilmente legato alla bandiera della Regione autonoma Sarda che con LEGGE REGIONALE del 15 aprile 1999, n 10, all’art. 1 “…adotta quale sua bandiera quella tradizionale della Sardegna: campo bianco crociato di rosso con in ciascun quarto una testa di moro bendata sulla fronte rivolta in direzione opposta all'inferitura”.
La ricerca da noi condotta ha portato alla luce la natura controversa dell’origine di tale stemma e come, nel corso del tempo, leggende e storia si siano sovrapposte creando non poca confusione generalizzata nell’opinione pubblica e accese discussioni tra i vari studiosi.
1.1 Chi, quando e perché venne creato questo stemma
La prima apparizione storica del simbolo dei quattro mori viene fatta risalire ad una bolla plumbea utilizzata dalla cancelleria reale di Pietro il Grande (1094-1104), re d’Aragona, nel 1281, di cui si trova una riproduzione simile presso l’Archivio di Stato di Cagliari, risalente al 1326 utilizzata da Giacomo II d’Aragona. La scelta dell’iconografia non fu certo casuale, identificava la vittoria inflitta ai moriscos nei territori di Aragona, Catalogna, Valenza, Maiorca.
Questo fatto storico si intreccia però con una varietà di leggende sull’origine del simbolo che ha visto contrapporsi principalmente due teorie: la prima sostenuta dal Baille nell’800, ritiene che l’arma sia di origine aragonese e che sia stata importata nell’Isola all’epoca della dominazione iberica, la seconda innalzata dagli storici del ‘600, propugna l’origine indigena dell’emblema.
Secondo la leggenda iberica e della teoria dello storico spagnolo Zurita (1512-1580), che scrisse gli Anales de la corona de Aragon , il simbolo dei quattro mori è stato creato da re Pietro I d’Aragona, quale celebrazione della vittoria di Alcoraz, quando fu riconquistata la città di Huesca avvenuta effettivamente nel 1096, che sarebbe stata ottenuta anche grazie all’intervento prodigioso di un cavaliere che indossava un’armatura bianca con una croce fiammeggiante sul petto, che era in realtà San Giorgio. La leggenda narra che i Saraceni vennero sconfitti e quando i vincitori tornarono sul campo di battaglia per raccogliere il bottino, trovarono quattro teste di mori, staccate dal corpo, con turbanti tempestati di gemme.
Alla leggenda iberica si contrappone e si intreccia per alcuni versi, quella sardo-pisana che rivendica una origine dei quattro mori completamente indigena che fu elaborata pochi decenni dopo la morte dello Zurita.
I sostenitori della teoria dell’origine autoctona dell’emblema risalgono all’epoca delle invasioni arabe quando i Sardi lottarono duramente per la difesa dell’Isola contro il re arabo Museto (1014 -1016).
Ranieri Sardo scrive nel 1450 le “Cronache di Pisa” nelle quali racconta che Papa Benedetto VIII (1012 – 1024) conferì nel 1027 ai Pisani (che insieme ai Genovesi contribuirono a scacciare i Saraceni, preoccupante minaccia degli interessi economici legati alle miniere, dalla Sardegna), un gonfalone rosso con una croce bianca al centro; la guerra contro gli Arabi avrebbe assunto, dunque, nell’Isola il significato di vera crociata.
Alcuni identificano nei quattro mori i quattro Giudicati sardi vittoriosi sugli Arabi. Questa teoria riconosceva nello stemma un simbolo vittorioso, tutto sardo, nato in uno dei pochi momenti storici, appunto quello giudicale, in cui l’isola non fu soggetta a dominazioni esterne.
1.2 Iconografia
La documentazione iconografica consente, in questo caso, di conferire maggiore “scientificità” alla ricerca stessa sui quattro mori, consentendo di creare il filo cronologico, ripercorrendo l’iconografia dell’emblema fin dalle sue prime raffigurazioni ufficiali, come ad esempio quelle presenti in monete, sigilli o frontespizi di testi, che consentano datazioni certe e che diano garanzie di autenticità.
Il primo disegno a mano appare in una raccolta di stemmi europei nel cosiddetto “Stemmario di Gelre”, manoscritto databile tra il 1370-1386,
in cui per la prima volta compare lo stemma dei quattro mori come simbolo della Sardegna nell’ambito degli stati della Corona d’Aragona.
La primissima testimonianza relativa all’uso del simbolo, attribuito in stretto collegamento alla Sardegna, risale al 1558, quando in occasione delle onoranze funebri tributate al re Carlo V dalla città di Bruxelles, sfilò un cavallo con lo scudo sardo dei quattro mori. Questa immagine si trova riprodotta in un libro intitolato “La magnifique et sompteuse pompe funebre faite aus obseques et funeraillesdu tre grande et tre victorieus empereur Charles cinqueme, celebrees en la ville de Bruxelles le 29e jour du mois de icembre 1558 par Philippes roy catholique d’Espaigne son fils”, pubblicato ad Anversa dal famoso tipografo Plantin nel 1559 custodito nel museo di Bruxelles e del quale pare non esista
nessuna copia in Italia.
La più antica attestazione dello scudo dei “quattro mori” in Sardegna sembrerebbe sia presente in un’opera (anch’essa consultabile presso l’Archivio di Stato di Cagliari). Nel frontespizio dei Capitols de Cort del Stament militar de Serdenya, pubblicati a Cagliari nel 1590, è raffigurato uno scudo, di forma ovale, sormontato da una corona, suddiviso da una croce piana in quattro cantoni, nei cui angoli sono raffigurate quattro teste di profilo, rivolte a sinistra di chi guarda e cinte sulla fronte da una benda legata agli occipiti, con gli occhi liberi.
1.3 Il mito della benda
Il problema della benda raffigurata a volte sulla fronte altre sugli occhi è stato oggetto di minore interesse ed è diventato argomento di attualità solo dopo che l’emblema è stato ufficialmente adottato dal Partito Sardo d’Azione (1920) e dalla Regione Autonoma della Sardegna. La variante erronea della benda calata sugli occhi conferiva maggiore credibilità alla teoria indigena, in quanto pareva simboleggiare lo stato di La tipologia dell’emblema appare molto confusa soprattutto nelle opere a stampa, ma si trovano varianti anche sulle monete e sui sigilli soprattutto a partire dalla seconda metà del ‘400: si vedano ad es., la bolla di Ferdinando il Cattolico (1479-1516) in cui le quattro teste sono affrontate e coronate; i reali di Carlo V (1516-56) coniati a Saragozza nel 1520 in cui appaiono 4 teste coronate e rivolte a sinistra; i cagliaresi di Carlo Emanuele III
( 1730-1773) in cui i mori hanno bende frontali e sono rivolti a destra etc. Questa confusione nella tipologia era dovuta a due cause: in terra iberica erano decadute le motivazioni politiche che avevano portato alla sua creazione; in terra sarda invece erano troppe e diverse le leggende sull’origine dell’emblema.
C'è da precisare che sulle opere a stampa e sulle monete il simbolo dei quattro mori arrivò solo dopo 1571 invece sui gonfaloni dei corpi militari istituiti da Carlo V per la difesa dell'isola e composti da sardi, detti Terçios de Cerdena, i quattro mori si erano già distinti nelle azioni di guerra, sventolando valorosamente a Tunisi nel 1535 e a Lepanto nel 1571, contro i Turchi. (Barbara Fois, Lo stemma dei quattro mori, Sassari 1990) schiavitù dell’arabo sconfitto, e non del sardo dominato.
Nel 1571 P. Bellit descriveva lo stemma "Croce rossa in campo bianco con quattro teste di moro accantonate e rivolte a destra di chi guarda e portanti un'ampia benda o turbante - che non è un fazzoletto, ma un simbolo della regalità - sulla fronte ed occhio libero". (Luigi Pinelli, 1979, “Emblema della Sardegna origine e trasformazione”, pag. 8). Nel 1610 viene stampata a Saragozza una edizione degli “Anales” dello Zurita, qui i quattro mori sono diventati quattro re barbuti e coronati, rivolti a sinistra. Nel 1631 sul manoscritto del Carmona, “Alabanças de los Santos de Sardina”, i quattro mori appaiono affrontati al centro e con la testa libera da bende e da corone. I due di destra appaiono di profilo, mentre i due di sinistra appaiono di tre quarti, quasi si stessero girando verso il lettore. Il disegno è molto rozzo e primitivo e le teste sproporzionate.
Nelle opere a stampa già dal regno di Vittorio Amedeo III (1726-1796) la benda era caduta sugli occhi dei quattro mori, non si sa se per imperizia dei litografi o malizia dei governanti. Così anche sulle bandiere dei miliziani, che avevano sostituito gli spagnoli Terçios, i mori erano raffigurati con gli occhi bendati. (Barbara Fois, Lo stemma dei quattro mori, 1990, Sassari, p.31).
Il problema della posizione della benda era nato a causa di una poco curata realizzazione dell’emblema a partire dalla metà del ‘700, negli editti regi destinati al Regno di Sardegna e pubblicati nella stamperia reale di Torino e in varie stamperie cagliaritane. Le matrici per la stampa paiono essere sempre le stesse: i mori, rivolti a sinistra come nelle monete, hanno una benda sottilissima collocata tanto bassa sulla fronte che, in alcuni casi sembra coprire gli occhi. ( Luisa D’ Arienzo, p. 34-35).
Con Carlo Alberto la bandiera del regno di Sardegna diventa il tricolore, anche se la bandiera dei Quattro mori continua ad essere usata come stemma di corpi militari sardi. Con la fusione della Sardegna al Piemonte (1847-48) e con la relativa rinuncia all’autonomia da parte degli isolani, cessò di esistere l’antico “Regnum Sardiniae” e l’emblema dei quattro mori cadde in disuso. Sicuramente i piemontesi non dovevano avere una grande simpatia per l’emblema dei Quattro mori, prova ne sia che già nella riunione del primo Parlamento subalpino i deputati sardi non trovarono lo stemma dell’isola tra quelli dipinti nella sala assembleare. Alle vivaci proteste di Pasquale Tola il ministro si giustificò dicendo che l’artista involontariamente, l’aveva dimenticato.
Con la formazione del Regno d’ Italia (1861) fu adottato ufficialmente come emblema la croce bianca in campo rosso dei Savoia, mentre l’insegna sarda non fu più usata. Lo scudo crociato perse il suo significato originario di emblema di un piccolo regno autonomo e restò in uso come insegna di un’ isola che costituiva solo una parte geografica del nuovo regno in cui era stata assorbita. (Luisa D’Arienzo, Lo scudo dei “quattro mori” e la Sardegna. Cagliari 1983).
Lo stemma dei quattro mori ricomparve nel 1921 quando alcuni reduci della Grande Guerra fondarono il Partito Sardo D’Azione, qui i mori sono
rappresentati con la benda sugli occhi e non sulla fronte e con le teste volte a sinistra (www.lamiasardegna.it). Questa seconda versione dell’emblema
con i mori bendati, affermatasi col tempo nella tradizione popolare, ha finito per prevalere ed è divenuta nel 1952 l’insegna ufficiale della Regione Autonoma della Sardegna che nell’adottarla ha preferito aderire alla teoria (peraltro sbagliata) della sua origine autoctona, secondo la quale i quattro mori bendati simboleggerebbero le vittorie dei giudicati sardi contro gli arabi. (Luisa D’Arienzo “Lo scudo dei quattro mori e la Sardegna”, Cagliari, 1983).
Molti studiosi di storia sarda si sono chiesti per quale ragione i creatori del Partito Sardo D’Azione, (giovani valorosi e dotati di ottima cultura, ma rivelatisi troppo avventati ad accettare un emblema contraffatto) non si siano sincerati su quale fosse stata l’evoluzione storica dell’arma che aveva portato la Sardegna ad adottare il simbolo moresco? E perché non sia stata fatta presente l’inesattezza e non si è saputo consigliare gli uomini politici che si accingevano a dare vita alla Regione Autonoma della Sardegna di non continuare nello sbaglio commesso col adottare uno stemma contraffatto? (Luigi Pinelli, Emblema della Sardegna, Sassari, 1979, p.38).
Solo nel 1999 la bandiera viene modificata rettificando l’errore grafico, e riporta la benda sulla fronte dei mori che sono rivolti verso destra ed hanno riaperto gli occhi «Come auspicio che i sardi aprano finalmente gli occhi» (L’Unione sarda, 1 giugno 2006).
Il promotore della legge del 1999 sulla bandiera, proposta da Salvatore Bonesu, era Leonardo Melis, allora consigliere nazionale del Partito Sardo D’Azione.(www.lamiasardegna.it)
1.4 Sitografia
www.aggius.net/storia.asp
www.bandierasarda.it
www.cittaturistica.it/articoli.php?id=bandiera_dei_4_mori
www.comuni-italiani.it/20/stemm.html
www.lamiasardegna.it/files/945.htm
www.luigiladu.it/sardegna/quattro_mori.htm
www.peppecau.it/regione_sardegna.html
www.sardegnaland.it/news.php?item.58
www.wikipedia.org/wiki/bandiera_dei_quattro_mori
www.regione.sardegna.it
1.5 Bibliografia
Articolo di Podda Mauro in L'Unione Sarda di Sabato 12 aprile 2008 QUATTRO MORI A BRUXELLES
Boscolo A., “L’isola dei quattro mori”, in Storie di Sardegna miti e memorie del popolo sardo, Cagliari, 1987.
Casula F.C., Eleonora. Regina del regno di Arborea, Sassari, 2003.
Casula F.C., La Sardegna aragonese. Vol.I. La corona d’Aragona; Vol.II. La Nazione Sarda, Sassari, 1990.
D’Arienzo Luisa, Perché quattro, perché mori in SARDEGNA FIERISITCA / APRILE-MAGGIO 1984, dal sottotitolo:
Storia e leggenda dietro lo stemma della nostra regione.
Eleonora d’Arborea, La Carta de Logu, Sassari, 2003, edizione speciale per “La biblioteca de La nuova Sardegna”.
Fois B. Lo stemma dei quattro mori, Sassari, 1990.
Intervista a Sedda F., in l’Unione Sarda di sabato 27 ottobre 2007 –
Legge Regionale 15 aprile 1999, n. 10
Lippi S. Gli stemmi della Sardegna e delle sue antiche città, Bologna, 1928?
Pinelli L. L’emblema della Sardegna:origine e trasformazione, Sassari, 1979.
Sedda F. Gli stemmi della Sardegna e delle sue antiche città, Bologna, 1928.
Sedda F., La vera storia della bandiera dei sardi.
SCOPERTA LA PIU’ ANTICA RIPRODUZIONE A STAMPA DEI 4 MORI
Vi proponiamo l'articolo completo inviato a bandierasarda.it da Mauro Podda il 15 dicembre 2008, segnalandovi che il precedente, pubblicato da L'Unione Sarda il 12 aprile 2008, con il titolo "quattro mori a Bruxelles", ha avuto dei tagli rispetto all'originale
Scoperta forse è un po’ esagerato: in realtà si è materializzata come una beata apparizione agli occhi di un appassionato e studioso durante una vacanza a Bruxelles (potenza dei Low cost).
Nella magnifica Grande Place vi è il museo della città, un palazzo neogotico nelle cui vetrate sono riprodotti gli stemmi dei regni della monarchia ispanica, fra cui quello del Regno di Sardegna. Ma è una riproduzione ottocentesca. Si poteva già essere contenti di vedere il nostro simbolo in un vecchio palazzo della capitale europea!
Potete immaginare l’incredulità quando gli occhi sono caduti su una vetrina ove era esposto uno splendido disegno cinquecentesco…. con i quattro mori di Sardegna!
Si tratta della riproduzione di una processione che si tenne a Bruxelles in occasione dei funerali di Carlo V. Ogni regno di cui l’imperatore era sovrano è rappresentato da un alfiere portabandiera e da una cavallo bardato.
E’ uno splendido libro intitolato “La magnifique et somptueuse pompe funebre faite aus obseques et funerailles du tres grande et tres victorieus empereur Charles cinquieme, celebrees en la ville de Bruxelles le 29e jour du mois de Dicembre 1558 par Philippes roy catholique d’Espaigne son fils”, pubblicato ad Anversa dal famoso tipografo Plantin nel 1559. Non appare il nome dell’autore dei disegni (non esiste testo).
Fino ad oggi non era conosciuto in Sardegna, il libro è piuttosto raro, esistono poche copie in Europa e sembra nessuna in Italia.
Il nostro stemma appare infatti in alcuni testi a stampa già nella seconda metà del cinquecento (“Capitols de Cort del Stament Militar de Sardenya”pubblicato a Cagliari nel 1572 a cura di Francesco Bellit; “De titulis Philippi Austrii Regis Cattolici Liber” di Iacopo Mainoldi Galerati del 1573 a Bologna, “Le Blason des Armoires” di Hierosme de Bara del 1581 a Lione), con dei semplici e non particolarmente attraenti disegni.
Questo che qui viene presentato non è soltanto il più bello, ma anche il più antico apparso in un testo stampato.
La presentazione di questa scoperta è anche occasione per avanzare anche nuove ipotesi sul significato simbolico e sull’origine del nostro stemma.
Dagli studiosi che negli ultimi anni si erano occupati del nostro stemma (Luisa D’Arienzo, Barbara Fois, Salvatorangelo Palmerio Spanu, ecc.) sapevamo che i quattro mori appaiono già nella seconda metà del duecento nei sigilli plumbei della Corona d’Aragona; e il primo disegno a mano appare in una raccolta di stemmi europei nel cosiddetto “Stemmario di Gelre”, dai più attribuito alla fine del trecento.
Lo stemmario di Gelre, composto pare tra il 1371 e il 1395 (e conservato alla Biblioteca Reale di Bruxelles), lo indica appunto come emblema della nostra isola nell’ambito degli stati della Corona d’Aragona.
Come sia finito a rappresentare la Sardegna, con continuità, come abbiamo visto, almeno dal cinquecento , ancora in effetti non è chiaro, ma analizzandone più a fondo gli elementi forse potremmo avere qualche indizio in più.
Occorre chiarire che l’intitolazione del Regno di Sardegna separata dal Regno di Corsica e piuttosto tarda (dal 1479, unione personale delle Corone di Castiglia ed Aragona sotto Isabella I e Ferdinando II), e dunque o lo stemmario di Gelre fu manipolato in epoca successiva oppure i due simboli di Sardegna e Corsica hanno un origine diversa e sono dei veri simboli “etnici” delle due isole!
Infatti lo stemma della Corsica (ma non identificato come tale) compare a metà del quattrocento negli affreschi di Piero della Francesca nella chiesa di San Francesco in Arezzo, ciclo della Storia della Vera Croce, sia nella battaglia di Eraclio e Cosroe, sia nella Battaglia di Costantino e Massenzio.
DUE SANTI GUERRIERI
Lo stemma dei “quattro mori” in realtà è costituito da due elementi distinti ma solidali anche ideologicamente:
1. la croce rossa in campo bianco;
2. le teste di moro di profilo con benda sulla fronte e inquartate dal precedente emblema.
La croce rossa in campo bianco è un simbolo diffusissimo in Europa: è la croce di San Giorgio, emblema di molte città e nazioni.
San Giorgio, la cui storicità è tanto discussa quanto la sua fama, divenne popolarissimo tra i cavalieri crociati, che al loro ritorno in Europa ne diffusero ulteriormente la gloria accreditandogli il fondamentale aiuto nella battaglia di Antiochia del 1098. “Secondo la leggenda il martire si sarebbe mostrato, in una miracolosa apparizione, ai combattenti cristiani accompagnato da splendide e sfolgoranti creature celesti con numerose bandiere in cui campeggiavano croci rosse in campo bianco contro i musulmani.” “L'iconografia classica lo rappresenta a cavallo nell'atto di trafiggere il drago, armato fino ai denti con asta e scudo crociato. La croce rossa in campo bianco, adottata anch'essa come insegna al tempo delle crociate, ha lo scopo di ricordare la passione di Cristo e simboleggiare contestualmente i valori della Vittoria e della Liberazione.”
La croce di San Giorgio divenne quindi l’emblema per eccellenza dei crociati tanto da essere assunta, leggermente modificata, quale simbolo dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio, i famosi Templari: secondo la tradizione infatti San Giorgio era un soldato, caratteristica che condivide, come vedremo, col suo compagno araldico San Maurizio. Entrambi furono martirizzati ma divennero in questo modo simboli del cristianesimo e della Chiesa militanti e combattenti.
Tra le città e nazioni che elessero San Giorgio come proprio santo protettore basti ricordare l’Inghilterra, di cui la bandiera con la croce di San Giorgio è simbolo nazionale almeno dal 1277, unito poi, con le bandiere dei regni di Scozia ed Irlanda, per creare la famosa Union Jack. Fra le altre innumerevoli sono importanti per la storia della Sardegna la Superba, la Repubblica e la città di Genova, e la Corona d’Aragona. Ancora oggi, San Giorgio è il Santo protettore dell’Aragona e della Catalogna e la sua data nel calendario tradizionale (23 aprile) è festa nelle due regioni spagnole. Il suo emblema è inserito nelle armi della città di Barcellona.
In Sardegna peraltro è attestato un santo medioevale, vissuto presumibilmente intorno all’anno mille, San Giorgio di Suelli, spesso confuso col San Giorgio Martire, e che veniva festeggiato lo stesso giorno (9 maggio).
La testa di moro è un simbolo apparentemente più misterioso.
Fino a quando uno studioso messicano, Mario de Valdes y Cocom, avanzò in un suo articolo del 1992 intitolato eloquentemente “Sigillum secretum” , delle nuove ed assai interessanti ipotesi.
Secondo il Valdes y Cocom, che riporta il sospetto di altri specialisti di araldica, il simbolo della testa di moro “is instead the very opposite of a negative symbol”, cioè è probabilmente l’opposto di un simbolo negativo, vale a dire la cruenta rappresentazione di teste di capi mori o saraceni sconfitti e decapitati dai re aragonesi durante la “reconquista” secondo l’interpretazione tradizionale.
Potrebbe infatti rappresentare un altro santo guerriero della tradizione cristiana: San Maurizio.
Pare accertato peraltro che San Maurizio fosse stato scelto, comprensibilmente, quale santo patrono del Sacro Romano Impero fin dagli inizi del X secolo. La spada di San Maurizio faceva effettivamente parte del corredo del trono imperiale, utilizzato durante l'incoronazione degli imperatori austro-ungarici fino al 1916.
E a maggior ragione il suo simbolo, la testa di moro, fu intensamente riutilizzato, dopo la riforma protestante, nell’ambiente tedesco rimasto fedele alla Chiesa Cattolica.
Ed infatti il simbolo in questione è presente non solo, come sappiamo, negli stemmi araldici di Sardegna, Corsica, Aragona, ma lo ritroviamo qua e là in mezza Europa ed in particolare nell’araldica ecclesiastica, cittadina e nobiliare di area culturale germanica.
L’esempio più eclatante è lo stemma araldico dell’attuale pontefice, Benedetto XVI, che riporta a sua volta quello della diocesi in cui ha maggiormente operato, dove la testa di moro compare coronata, cioè senza benda.
L'IPOTESI
L’ipotesi che qui viene avanzata, e che il simbolo noto “dei quattro mori”, composto appunto da quattro teste di moro inquartate dalla Croce di San Giorgio, sia un vero simbolo etnico della nazione sarda, concesso od elaborato in occasione delle crociate.
A sostegno di tale ipotesi non si avanzano delle vere prove inconfutabili, ma una serie numerosa di indizi qualificanti.
1) il simbolo in questione appare nei sigilli aragonesi prima dell’infeudazione del Regno di Sardegna e Corsica da parte di Bonifacio VIII ai sovrani catalani, ma dopo le prime richieste tese ad ottenere tale infeudazioni da parte dei monarchi iberici (Giacomo il Conquistatore) attestate dal 1267 . Nel medioevo non si potevano conquistare terre cristiane senza avere fondamenti religiosi ed avalli ecclesiastici od imperiali (per esempio per debellare pericolose eresie) e fondamenti giuridico-dinastici, nel solco dell’antica tradizione barbarico-romana, che considerava lo Stato proprietà personale dei sovrani e pertanto divisibile tra i suoi eredi.
Il fatto che i sovrani Aragonesi chiedessero l’infeudazione della Sardegna sta a significare che avanzavano una qualche pretesa dinastica nei confronti della Sardegna. Sarebbe interessante effettuare delle ricerche storiche più approfondite con tale taglio sul carteggio tra la Corte Barcellonese e quella Romana.
2) Il fatto che Bonifacio VIII infeudasse il Regno di Sardegna e Corsica, ben sapendo che nell’isola erano presente un’altra istituzione politica autoctona non esplicitamente nemica o ghibellina, il Giudicato di Arborea (gli altri tre giudicati erano venuti meno da qualche decennio), significa che non voleva semplicemente dare agli Aragonesi una “licentia invadendi” contro i domini del filoimperiale Comune Pisano, ma che intendeva costituire (o reistituire!) un’entità politica che comprendesse tutta la Sardegna (compreso il Giudicato di Arborea) e la Corsica. Non fu un atto effettuato dal pontefice esclusivamente “motu proprio”, nell’ambito degli equilibri politici tra le potenze europee, ma anche nel rispetto delle pensiero e del diritto politico-istituzionale del tempo: i Giudici, anche se talvolta si paragonavano e si consideravano pari a dei re, non avevano il titolo di Re, ma quello di appunto di Giudice, di antica tradizione Romano-Bizantina, paragonabile, nella gerarchia onorifica politica e nobiliare, a quello di un Duca. Il Re di Francia si considerava senz’altro “superiorem non recognoscens” nei fatti (per quanto significato possa avere tale espressione nel medioevo), ma onorificamente era subordinato all’Imperatore del Sacro Romano Impero.
3) Ciò è dimostrato anche dal comportamento dei giudici arborensi, che infatti inizialmente non saranno affatto contrari all’invasione aragonese, ma ne saranno anzi fautori e fiancheggiatori, anche in base alle relazioni parentali e di vassallaggio (parent e bon amich) sia in terra sarda che iberica (nella Viscontea di Bas, il cui stemma è all’origine del simbolo dell’albero eradicato arborense) fino a quando non vedranno limitate le proprie prerogative sostanzialmente sovrane da molti secoli acclarate.
4)L’idea di un Regno di Sardegna non fu né dei sovrani Aragonesi, né di Bonifacio VIII, ma come minimo di Barisone I Giudice di Arborea, che comprò il titolo dall’Imperatore coi soldi dei Genovesi, ma non fu poi in grado di rendere il suo dominio effettivo. Il suo motto, inciso nel suo sigillo “EST VIS SARDORUM PARITER REGNUM POPULORUM”, che possiamo tradurre con “la forza dei popoli sardi è nel Regno”, chiarisce che l’idea di un’istituzione politica che unificasse (magari nel rispetto parziale delle altre antiche istituzioni già presenti, i Giudicati) tutta la Nazione e l’isola Sarda, aveva una lunga tradizione, forse risalente ad una forma politica di età tardo-bizantina.
Anche Enzo Hohenstaufen di Svevia, figlio dell’Imperatore Federico II, marito di Adelasia di Giudicessa di Torres, ebbe nel 1238 dal padre il titolo di Re di Sardegna.
5)Lo stemma dei quattro mori compare nello stemmario di Gelre non in riferimento al Regno di Sardegna e Corsica, come sarebbe stato logico, ma in riferimento alla sola Sardegna, avendo la Corsica il suo proprio simbolo. Quindi, poiché non è possibile per ovvie ragioni iconografiche e storico-istituzionali, separare la storia dello stemma sardo da quello corso (con un unico moro), dobbiamo tenere conto che tale stemma viene largamente utilizzato solo a partire dal XVI secolo, quando cioè l’intitolazione dello Stato si riduce a Regno di Sardegna, coincidendo così lo Stato con l’isola e la Nazione Sarda.
6) La forma stessa del simbolo, sfruttando la quadripartizione offerta dalla Croce di San Giorgio, permetterebbe la rappresentazione paritaria dei quattro Giudicati, necessaria per motivi politici ed etnico-linguistici, nell’eventuale rappresentanza della Nazione Sarda nelle spedizioni crociate. I Corsi saranno rappresentati con certezza almeno dal cinquecento dal simbolo con l’unico moro. Ma il parallelismo delle due bandiere suggerisce una medesima origine, magari nella corte papale e su designazione da parte delle istituzioni politiche locali dei Santi guerrieri, protettori delle spedizioni. Anche Sant’Efisio era un Santo guerriero, ma sarebbe stato rappresentativo solo dei Calaritani e non degli altri Sardi.
Comunque, in definitiva, se, come potrebbe sembrare, lo stemma dei quattro mori fu inventato in Aragona forse come simbolo delle forze cristiane combattenti contro i mussulmani nella “reconquista”, esso, per ragioni ad oggi sostanzialmente oscure, fu attribuito alla Sardegna e da allora, la seconda metà del XIV° secolo, continuativamente la rappresenta in araldica. La sua simbologia appare però a questo punto assai più chiara: è simbolo della cristianità combattente.
Quale che sia la sua origine (e come abbiamo visto potrebbe invece essere stato creato appositamente per la Sardegna in tempi non sospetti) esso è diventato ed è il nostro simbolo nazionale e del nostro stato storico, il Regno di Sardegna.
Stato che, sia pure nato da una guerra di conquista (prossima quasi ad un genocidio quale fu la conquista Aragonese), superata la fase dolorosa dei lutti, e formatasi quella nuova entità meticcia che è il popolo sardo moderno, in cui convive l’antica tradizione sardo-romana-bizantina con la nuova sardo-iberica.
Un popolo meticcio (come tutti gli altri d’altronde) che frutti splendidi ha dato nelle tradizioni popolari, specialmente religiose, musicali e del vestiario, nella lingua, nella letteratura, nelle arti, nell’architettura, nelle scienze umane e naturali, nelle storia delle istituzioni (se è vero come è vero che il Regno d’Italia altro non era che il Regno di Sardegna ampliato nei suoi confini), ci ha rappresentato per secoli, e ci rappresenta tutt’oggi che ne siamo cittadini e non più sudditi.
La formazione di questo Stato, sia nelle sue lontane origini, sia nei suoi sviluppi più recenti spiega anche i numerosi problemi del nostro presente, imponendoci oggi, dopo l’istituzione della forma democratica, una sua profonda trasformazione in senso federale, nel rispetto di tutti i popoli e di tutte le culture italiane.
Ma questa è un’altra storia.
Comunque, al di là di queste disquisizioni sull’origine dei quattro mori, è certo che rappresentano la Sardegna da almeno 700 anni, e la simboleggiavano in tutte le manifestazioni ufficiali come in questo bellissimo disegno che qui viene presentato al grande pubblico dell’Unione Sarda.
SAN MAURIZIO
Secondo la tradizione agiografica San Maurizio era un generale dell’esercito romano comandante della legione Tebea formata da soldati di etnia egizia, e per tale motivo rappresentato fin dal XII secolo come un uomo di colore, un moro per l’appunto. Quando nel 300 dopo Cristo la legione fu trasferita a nord delle Alpi, con 6600 suoi compatrioti e commilitoni preferì il martirio piuttosto che compiere azioni militari contro popolazioni cristiane della zona. Fu martirizzato, secondo Eucherio Vescovo di Lione, nella decima persecuzione di Diocleziano, in una località dell’attuale Svizzera che ancora oggi è chiamata Saint Maurice en Valais. Per tale motivo si suppone che il suo fosse un simbolo di grande importanza per il mondo cristiano medioevale, in particolar modo in tempi di contrasto con i mori musulmani, ai quali si opponeva un campione della loro stessa etnia e colore.
San Maurizio è considerato il patrono degli Alpini, la sua festività ricorre il 22 settembre.
MAURO PODDA
Scoperta forse è un po’ esagerato: in realtà si è materializzata come una beata apparizione agli occhi di un appassionato e studioso durante una vacanza a Bruxelles (potenza dei Low cost).
Nella magnifica Grande Place vi è il museo della città, un palazzo neogotico nelle cui vetrate sono riprodotti gli stemmi dei regni della monarchia ispanica, fra cui quello del Regno di Sardegna. Ma è una riproduzione ottocentesca. Si poteva già essere contenti di vedere il nostro simbolo in un vecchio palazzo della capitale europea!
Potete immaginare l’incredulità quando gli occhi sono caduti su una vetrina ove era esposto uno splendido disegno cinquecentesco…. con i quattro mori di Sardegna!
Si tratta della riproduzione di una processione che si tenne a Bruxelles in occasione dei funerali di Carlo V. Ogni regno di cui l’imperatore era sovrano è rappresentato da un alfiere portabandiera e da una cavallo bardato.
E’ uno splendido libro intitolato “La magnifique et somptueuse pompe funebre faite aus obseques et funerailles du tres grande et tres victorieus empereur Charles cinquieme, celebrees en la ville de Bruxelles le 29e jour du mois de Dicembre 1558 par Philippes roy catholique d’Espaigne son fils”, pubblicato ad Anversa dal famoso tipografo Plantin nel 1559. Non appare il nome dell’autore dei disegni (non esiste testo).
Fino ad oggi non era conosciuto in Sardegna, il libro è piuttosto raro, esistono poche copie in Europa e sembra nessuna in Italia.
Il nostro stemma appare infatti in alcuni testi a stampa già nella seconda metà del cinquecento (“Capitols de Cort del Stament Militar de Sardenya”pubblicato a Cagliari nel 1572 a cura di Francesco Bellit; “De titulis Philippi Austrii Regis Cattolici Liber” di Iacopo Mainoldi Galerati del 1573 a Bologna, “Le Blason des Armoires” di Hierosme de Bara del 1581 a Lione), con dei semplici e non particolarmente attraenti disegni.
Questo che qui viene presentato non è soltanto il più bello, ma anche il più antico apparso in un testo stampato.
La presentazione di questa scoperta è anche occasione per avanzare anche nuove ipotesi sul significato simbolico e sull’origine del nostro stemma.
Dagli studiosi che negli ultimi anni si erano occupati del nostro stemma (Luisa D’Arienzo, Barbara Fois, Salvatorangelo Palmerio Spanu, ecc.) sapevamo che i quattro mori appaiono già nella seconda metà del duecento nei sigilli plumbei della Corona d’Aragona; e il primo disegno a mano appare in una raccolta di stemmi europei nel cosiddetto “Stemmario di Gelre”, dai più attribuito alla fine del trecento.
Lo stemmario di Gelre, composto pare tra il 1371 e il 1395 (e conservato alla Biblioteca Reale di Bruxelles), lo indica appunto come emblema della nostra isola nell’ambito degli stati della Corona d’Aragona.
Come sia finito a rappresentare la Sardegna, con continuità, come abbiamo visto, almeno dal cinquecento , ancora in effetti non è chiaro, ma analizzandone più a fondo gli elementi forse potremmo avere qualche indizio in più.
Occorre chiarire che l’intitolazione del Regno di Sardegna separata dal Regno di Corsica e piuttosto tarda (dal 1479, unione personale delle Corone di Castiglia ed Aragona sotto Isabella I e Ferdinando II), e dunque o lo stemmario di Gelre fu manipolato in epoca successiva oppure i due simboli di Sardegna e Corsica hanno un origine diversa e sono dei veri simboli “etnici” delle due isole!
Infatti lo stemma della Corsica (ma non identificato come tale) compare a metà del quattrocento negli affreschi di Piero della Francesca nella chiesa di San Francesco in Arezzo, ciclo della Storia della Vera Croce, sia nella battaglia di Eraclio e Cosroe, sia nella Battaglia di Costantino e Massenzio.
DUE SANTI GUERRIERI
Lo stemma dei “quattro mori” in realtà è costituito da due elementi distinti ma solidali anche ideologicamente:
1. la croce rossa in campo bianco;
2. le teste di moro di profilo con benda sulla fronte e inquartate dal precedente emblema.
La croce rossa in campo bianco è un simbolo diffusissimo in Europa: è la croce di San Giorgio, emblema di molte città e nazioni.
San Giorgio, la cui storicità è tanto discussa quanto la sua fama, divenne popolarissimo tra i cavalieri crociati, che al loro ritorno in Europa ne diffusero ulteriormente la gloria accreditandogli il fondamentale aiuto nella battaglia di Antiochia del 1098. “Secondo la leggenda il martire si sarebbe mostrato, in una miracolosa apparizione, ai combattenti cristiani accompagnato da splendide e sfolgoranti creature celesti con numerose bandiere in cui campeggiavano croci rosse in campo bianco contro i musulmani.” “L'iconografia classica lo rappresenta a cavallo nell'atto di trafiggere il drago, armato fino ai denti con asta e scudo crociato. La croce rossa in campo bianco, adottata anch'essa come insegna al tempo delle crociate, ha lo scopo di ricordare la passione di Cristo e simboleggiare contestualmente i valori della Vittoria e della Liberazione.”
La croce di San Giorgio divenne quindi l’emblema per eccellenza dei crociati tanto da essere assunta, leggermente modificata, quale simbolo dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio, i famosi Templari: secondo la tradizione infatti San Giorgio era un soldato, caratteristica che condivide, come vedremo, col suo compagno araldico San Maurizio. Entrambi furono martirizzati ma divennero in questo modo simboli del cristianesimo e della Chiesa militanti e combattenti.
Tra le città e nazioni che elessero San Giorgio come proprio santo protettore basti ricordare l’Inghilterra, di cui la bandiera con la croce di San Giorgio è simbolo nazionale almeno dal 1277, unito poi, con le bandiere dei regni di Scozia ed Irlanda, per creare la famosa Union Jack. Fra le altre innumerevoli sono importanti per la storia della Sardegna la Superba, la Repubblica e la città di Genova, e la Corona d’Aragona. Ancora oggi, San Giorgio è il Santo protettore dell’Aragona e della Catalogna e la sua data nel calendario tradizionale (23 aprile) è festa nelle due regioni spagnole. Il suo emblema è inserito nelle armi della città di Barcellona.
In Sardegna peraltro è attestato un santo medioevale, vissuto presumibilmente intorno all’anno mille, San Giorgio di Suelli, spesso confuso col San Giorgio Martire, e che veniva festeggiato lo stesso giorno (9 maggio).
La testa di moro è un simbolo apparentemente più misterioso.
Fino a quando uno studioso messicano, Mario de Valdes y Cocom, avanzò in un suo articolo del 1992 intitolato eloquentemente “Sigillum secretum” , delle nuove ed assai interessanti ipotesi.
Secondo il Valdes y Cocom, che riporta il sospetto di altri specialisti di araldica, il simbolo della testa di moro “is instead the very opposite of a negative symbol”, cioè è probabilmente l’opposto di un simbolo negativo, vale a dire la cruenta rappresentazione di teste di capi mori o saraceni sconfitti e decapitati dai re aragonesi durante la “reconquista” secondo l’interpretazione tradizionale.
Potrebbe infatti rappresentare un altro santo guerriero della tradizione cristiana: San Maurizio.
Pare accertato peraltro che San Maurizio fosse stato scelto, comprensibilmente, quale santo patrono del Sacro Romano Impero fin dagli inizi del X secolo. La spada di San Maurizio faceva effettivamente parte del corredo del trono imperiale, utilizzato durante l'incoronazione degli imperatori austro-ungarici fino al 1916.
E a maggior ragione il suo simbolo, la testa di moro, fu intensamente riutilizzato, dopo la riforma protestante, nell’ambiente tedesco rimasto fedele alla Chiesa Cattolica.
Ed infatti il simbolo in questione è presente non solo, come sappiamo, negli stemmi araldici di Sardegna, Corsica, Aragona, ma lo ritroviamo qua e là in mezza Europa ed in particolare nell’araldica ecclesiastica, cittadina e nobiliare di area culturale germanica.
L’esempio più eclatante è lo stemma araldico dell’attuale pontefice, Benedetto XVI, che riporta a sua volta quello della diocesi in cui ha maggiormente operato, dove la testa di moro compare coronata, cioè senza benda.
L'IPOTESI
L’ipotesi che qui viene avanzata, e che il simbolo noto “dei quattro mori”, composto appunto da quattro teste di moro inquartate dalla Croce di San Giorgio, sia un vero simbolo etnico della nazione sarda, concesso od elaborato in occasione delle crociate.
A sostegno di tale ipotesi non si avanzano delle vere prove inconfutabili, ma una serie numerosa di indizi qualificanti.
1) il simbolo in questione appare nei sigilli aragonesi prima dell’infeudazione del Regno di Sardegna e Corsica da parte di Bonifacio VIII ai sovrani catalani, ma dopo le prime richieste tese ad ottenere tale infeudazioni da parte dei monarchi iberici (Giacomo il Conquistatore) attestate dal 1267 . Nel medioevo non si potevano conquistare terre cristiane senza avere fondamenti religiosi ed avalli ecclesiastici od imperiali (per esempio per debellare pericolose eresie) e fondamenti giuridico-dinastici, nel solco dell’antica tradizione barbarico-romana, che considerava lo Stato proprietà personale dei sovrani e pertanto divisibile tra i suoi eredi.
Il fatto che i sovrani Aragonesi chiedessero l’infeudazione della Sardegna sta a significare che avanzavano una qualche pretesa dinastica nei confronti della Sardegna. Sarebbe interessante effettuare delle ricerche storiche più approfondite con tale taglio sul carteggio tra la Corte Barcellonese e quella Romana.
2) Il fatto che Bonifacio VIII infeudasse il Regno di Sardegna e Corsica, ben sapendo che nell’isola erano presente un’altra istituzione politica autoctona non esplicitamente nemica o ghibellina, il Giudicato di Arborea (gli altri tre giudicati erano venuti meno da qualche decennio), significa che non voleva semplicemente dare agli Aragonesi una “licentia invadendi” contro i domini del filoimperiale Comune Pisano, ma che intendeva costituire (o reistituire!) un’entità politica che comprendesse tutta la Sardegna (compreso il Giudicato di Arborea) e la Corsica. Non fu un atto effettuato dal pontefice esclusivamente “motu proprio”, nell’ambito degli equilibri politici tra le potenze europee, ma anche nel rispetto delle pensiero e del diritto politico-istituzionale del tempo: i Giudici, anche se talvolta si paragonavano e si consideravano pari a dei re, non avevano il titolo di Re, ma quello di appunto di Giudice, di antica tradizione Romano-Bizantina, paragonabile, nella gerarchia onorifica politica e nobiliare, a quello di un Duca. Il Re di Francia si considerava senz’altro “superiorem non recognoscens” nei fatti (per quanto significato possa avere tale espressione nel medioevo), ma onorificamente era subordinato all’Imperatore del Sacro Romano Impero.
3) Ciò è dimostrato anche dal comportamento dei giudici arborensi, che infatti inizialmente non saranno affatto contrari all’invasione aragonese, ma ne saranno anzi fautori e fiancheggiatori, anche in base alle relazioni parentali e di vassallaggio (parent e bon amich) sia in terra sarda che iberica (nella Viscontea di Bas, il cui stemma è all’origine del simbolo dell’albero eradicato arborense) fino a quando non vedranno limitate le proprie prerogative sostanzialmente sovrane da molti secoli acclarate.
4)L’idea di un Regno di Sardegna non fu né dei sovrani Aragonesi, né di Bonifacio VIII, ma come minimo di Barisone I Giudice di Arborea, che comprò il titolo dall’Imperatore coi soldi dei Genovesi, ma non fu poi in grado di rendere il suo dominio effettivo. Il suo motto, inciso nel suo sigillo “EST VIS SARDORUM PARITER REGNUM POPULORUM”, che possiamo tradurre con “la forza dei popoli sardi è nel Regno”, chiarisce che l’idea di un’istituzione politica che unificasse (magari nel rispetto parziale delle altre antiche istituzioni già presenti, i Giudicati) tutta la Nazione e l’isola Sarda, aveva una lunga tradizione, forse risalente ad una forma politica di età tardo-bizantina.
Anche Enzo Hohenstaufen di Svevia, figlio dell’Imperatore Federico II, marito di Adelasia di Giudicessa di Torres, ebbe nel 1238 dal padre il titolo di Re di Sardegna.
5)Lo stemma dei quattro mori compare nello stemmario di Gelre non in riferimento al Regno di Sardegna e Corsica, come sarebbe stato logico, ma in riferimento alla sola Sardegna, avendo la Corsica il suo proprio simbolo. Quindi, poiché non è possibile per ovvie ragioni iconografiche e storico-istituzionali, separare la storia dello stemma sardo da quello corso (con un unico moro), dobbiamo tenere conto che tale stemma viene largamente utilizzato solo a partire dal XVI secolo, quando cioè l’intitolazione dello Stato si riduce a Regno di Sardegna, coincidendo così lo Stato con l’isola e la Nazione Sarda.
6) La forma stessa del simbolo, sfruttando la quadripartizione offerta dalla Croce di San Giorgio, permetterebbe la rappresentazione paritaria dei quattro Giudicati, necessaria per motivi politici ed etnico-linguistici, nell’eventuale rappresentanza della Nazione Sarda nelle spedizioni crociate. I Corsi saranno rappresentati con certezza almeno dal cinquecento dal simbolo con l’unico moro. Ma il parallelismo delle due bandiere suggerisce una medesima origine, magari nella corte papale e su designazione da parte delle istituzioni politiche locali dei Santi guerrieri, protettori delle spedizioni. Anche Sant’Efisio era un Santo guerriero, ma sarebbe stato rappresentativo solo dei Calaritani e non degli altri Sardi.
Comunque, in definitiva, se, come potrebbe sembrare, lo stemma dei quattro mori fu inventato in Aragona forse come simbolo delle forze cristiane combattenti contro i mussulmani nella “reconquista”, esso, per ragioni ad oggi sostanzialmente oscure, fu attribuito alla Sardegna e da allora, la seconda metà del XIV° secolo, continuativamente la rappresenta in araldica. La sua simbologia appare però a questo punto assai più chiara: è simbolo della cristianità combattente.
Quale che sia la sua origine (e come abbiamo visto potrebbe invece essere stato creato appositamente per la Sardegna in tempi non sospetti) esso è diventato ed è il nostro simbolo nazionale e del nostro stato storico, il Regno di Sardegna.
Stato che, sia pure nato da una guerra di conquista (prossima quasi ad un genocidio quale fu la conquista Aragonese), superata la fase dolorosa dei lutti, e formatasi quella nuova entità meticcia che è il popolo sardo moderno, in cui convive l’antica tradizione sardo-romana-bizantina con la nuova sardo-iberica.
Un popolo meticcio (come tutti gli altri d’altronde) che frutti splendidi ha dato nelle tradizioni popolari, specialmente religiose, musicali e del vestiario, nella lingua, nella letteratura, nelle arti, nell’architettura, nelle scienze umane e naturali, nelle storia delle istituzioni (se è vero come è vero che il Regno d’Italia altro non era che il Regno di Sardegna ampliato nei suoi confini), ci ha rappresentato per secoli, e ci rappresenta tutt’oggi che ne siamo cittadini e non più sudditi.
La formazione di questo Stato, sia nelle sue lontane origini, sia nei suoi sviluppi più recenti spiega anche i numerosi problemi del nostro presente, imponendoci oggi, dopo l’istituzione della forma democratica, una sua profonda trasformazione in senso federale, nel rispetto di tutti i popoli e di tutte le culture italiane.
Ma questa è un’altra storia.
Comunque, al di là di queste disquisizioni sull’origine dei quattro mori, è certo che rappresentano la Sardegna da almeno 700 anni, e la simboleggiavano in tutte le manifestazioni ufficiali come in questo bellissimo disegno che qui viene presentato al grande pubblico dell’Unione Sarda.
SAN MAURIZIO
Secondo la tradizione agiografica San Maurizio era un generale dell’esercito romano comandante della legione Tebea formata da soldati di etnia egizia, e per tale motivo rappresentato fin dal XII secolo come un uomo di colore, un moro per l’appunto. Quando nel 300 dopo Cristo la legione fu trasferita a nord delle Alpi, con 6600 suoi compatrioti e commilitoni preferì il martirio piuttosto che compiere azioni militari contro popolazioni cristiane della zona. Fu martirizzato, secondo Eucherio Vescovo di Lione, nella decima persecuzione di Diocleziano, in una località dell’attuale Svizzera che ancora oggi è chiamata Saint Maurice en Valais. Per tale motivo si suppone che il suo fosse un simbolo di grande importanza per il mondo cristiano medioevale, in particolar modo in tempi di contrasto con i mori musulmani, ai quali si opponeva un campione della loro stessa etnia e colore.
San Maurizio è considerato il patrono degli Alpini, la sua festività ricorre il 22 settembre.
MAURO PODDA